Giornata Mondiale del Migrante. Fede e speranza nel cuore di chi arriva: l'impegno
della Chiesa
Come ha ricordato il Papa all'Angelus, ricorreva ieri la 99.esima Giornata Mondiale
del Migrante e del Rifugiato. Il tema scelto dal Papa quest’anno è: ”Migranti: pellegrinaggio
di fede e di speranza”. Fede e speranza, scrive Benedetto XVI, riempiono spesso,
infatti, il bagaglio di quanti emigrano. Nel messaggio si ricorda poi il dovere di
accogliere e integrare i nuovi arrivati nelle comunità civili ed ecclesiali riconoscendo
i valori di cui essi sono portatori. Adriana Masotti ne ha parlato con Oliviero
Forti, responsabile ufficio immigrazione di Caritas italiana:
R. – Io posso
dire dell’esperienza della Caritas, che è un’esperienza che si gioca sul campo, e
ricordo, in questa sede, le immagini degli sbarchi a Lampedusa dello scorso anno ma
anche degli anni precedenti, quando incrociando gli occhi di questi migranti che arrivavano,
si poteva veramente percepire la speranza di poter avere una vita migliore. Si fuggiva,
infatti, da guerre, da situazioni di grande precarietà economica, esistenziale e,
quindi, la speranza è certamente il motore che spinge queste persone. Quello che,
però, noi dobbiamo sempre avere molto presente è che questa speranza rischia anche
da noi di non trovare più quello sfogo che meriterebbe. Per cui, noi dobbiamo sentirci
personalmente responsabili, in molti casi, di restituire speranza a queste persone
che facilmente la perdono, perché non trovano quello che speravano.
D. – Pellegrinaggio
dunque di speranza. E per quanto riguarda la fede?
R. – La fede, anche questa
è la molla, per certi versi, o quantomeno è l’elemento che sostiene l’esistenza di
queste persone. Io credo che senza fede non si possa affrontare tutto quello che spesso
queste persone sono costrette ad affrontare. Ora, l’immigrazione non è solo quella
che noi conosciamo attraverso le immagini e i telegiornali, gli sbarchi drammatici,
le traversate drammatiche, ma è anche questo: ogni esperienza di emigrazione è un’esperienza
che prova le persone e credo che se in tanti arrivano e riescono a fare quei viaggi
probabilmente è perché hanno una profonda fede.
D. - Di fronte all’immigrazione
ci sono diversi livelli di intervento. C’è il primo soccorso quando è necessario,
c’è l’impegno per l’integrazione. C’è anche l’impegno per dare risposte alle esigenze
spirituali delle persone che arrivano ed è su questo che la Chiesa si vuole anche
impegnare di più. Questo è il richiamo di questa giornata…
R. – Certamente,
l’impegno della Chiesa è ormai ultradecennale e penso, anche con grande responsabilità,
la Chiesa ha – mi passi il termine – investito e vuole investire nel futuro, in questa
grande opportunità, perché poi, se vogliamo dirla tutta, si tratta di milioni di persone
che fanno ormai parte della nostra società e sorprende, in un periodo in cui in Italia
siamo in piena campagna elettorale, che il tema dell’immigrazione sembra non comparire
nelle agende di chi ha deciso di rappresentarci e di governare il nostro Paese. L’invito
è che anche l’immigrazione diventi un tema tra quelli principali.
D. - La Chiesa
vuole impegnarsi di più per integrare i cristiani cattolici che arrivano e dialogare
con i cristiani di altre denominazioni. Ma ci sono anche i non cristiani e sappiamo
che tra gli immigrati molti sono musulmani…
R. – La Chiesa in primis ha dimostrato
in questi anni di dare spazio e di non fare nessuna differenza tra chi è portatore
di altre fedi rispetto alla fede cristiana. Io penso anche ai nostri servizi; mai,
che ricordi, c’è stata qualche tipo di differenziazione nell’erogazione di servizi
per il solo fatto di appartenere ad un’altra fede religiosa. E’ evidente che, per
i cristiani che arrivano, noi abbiamo però la responsabilità di sostenerli e di accompagnarli
nei percorsi di fede.
D. – Se è evidente, o almeno dovrebbe esserlo, che c’è
un diritto a emigrare, a scegliere per sé un futuro migliore, c’è anche il diritto
a non emigrare. Il Papa nel suo messaggio ne parla. Questo vuol dire però aiutare
le persone nei loro Paesi a trovare uno sviluppo…
R. – Abbiamo molto presente
il tema e su questo stiamo cercando di investire, però nella consapevolezza che se
non c’è da parte dei singoli governi una volontà, non solo dichiarata, ma anche fattiva
di far sì che ci sia sviluppo in quei Paesi da dove provengono tante persone, è evidente
che rischiamo di fare solo chiacchiere. Quindi, su questo, c’è bisogno realmente di
grandi investimenti perché solo in questo modo potremmo far sì che l’immigrazione
diventi semplicemente una scelta individuale e non una costrizione.
D. - E’
abbastanza evidente che lo sguardo della Chiesa sull’immigrazione è positivo, e questo
è un stimolo importante anche per i governi e le società?
R. – E’ uno stimolo
e anche una grande sfida. Posso assicurare, infatti, che ritenere, come noi facciamo,
l’immigrazione una risorsa e una ricchezza non significa automaticamente trovare poi
anche le nostre stesse comunità preparate ad affrontare il tema secondo questi canoni.
Questa è una grande sfida che tra le altre ci siamo posti. Evidentemente se non superiamo
quelle reticenze anche culturali che ormai da tanti anni caratterizzano i tessuti
sociali dove l’immigrazione ormai è una realtà, tutto il lavoro diventa estremamente
difficile. Però, è chiaro che siamo noi per primi consapevoli che ci vorranno decenni
perché il tema sia da considerarsi maturo all’interno delle società.