Pakistan. Raffica di attentati, oltre 110 morti. Attacchi contro la comunità sciita
Resta tesa la situazione in Pakistan. Sono oltre 115 le persone che hanno perso la
vita nell’ennesima giornata di violenza nel Paese. Una raffica di attentati, rivendicati
da un gruppo legato ad Al Qaeda, che ha preso di mira la comunità sciita. Ce ne parla
Benedetta Capelli:
Gli attacchi
violenti avvenuti a Quetta, ma anche in altre parti del Paese, hanno spinto i leader
sciiti pakistani a chiedere all’esercito di prendere il controllo della città per
proteggere la comunità. Secondo l’ultimo rapporto di Human Right Watch, il 2012 è
stato l’anno più sanguinoso per gli sciiti, con oltre 400 morti. Giovedì, l’attacco
più devastante è avvenuto in una sala biliardo, in un quartiere a maggioranza sciita,
con un kamikaze che si è fatto saltare in aria. All’arrivo dei soccorsi poi una bomba
azionata a distanza ha di nuovo seminato morte. A rivendicare le azioni il gruppo
estremista sunnita Lashkar-e-Jhangvi, legato ad al-Qaeda e ai talebani pakistani,
coinvolto in passato nel rapimento e nell'uccisione del giornalista americano Daniel
Pearl, decapitato nel gennaio 2002. E attacchi si sono verificati anche nella valle
dello Swat e nel Waziristan, al confine con l’Afganistan, riaccendendo così la guerra
settaria tra sciiti e sunniti.
Come spiegare questa escalation di violenza?
Benedetta Capelli lo ha chiesto a Stefano Vecchia, giornalista esperto
di questioni asiatiche:
R. - Bisogna
partire, anzitutto, dalla constatazione che il Pakistan è un Paese estremamente complesso
con una serie di componenti religiose, etnico-linguistiche e sociali che ne fanno
veramente una realtà particolare e di difficile comprensione. Dal punto di vista religioso,
la maggioranza della popolazione è musulmana sunnita: gli sciiti sono tra il 15 ed
il 20% degli abitanti del Paese, una minoranza concentrata in particolare in alcune
aree dove già esistono problemi come il tribalismo. Una situazione che toglie di fatto
queste aree – penso al Waziristan o parte del Balucistan – dal controllo governativo,
quindi controllano i capi tribali che sono in maggioranza sunnita e che però vanno
a controllare una popolazione sciita e questo provoca delle tensioni. Oppure, il fatto
che questi gruppi – parlo in particolare di Lashkar-e-Jhangvi – sono fondamentalmente
dei gruppi jihadisti, che colpiscono quelli che sono i loro vicini più immediati:
in parte le minoranze religiose – come quella cristiana, induista e buddista – ma
poi, soprattutto, gli “avversari storici” ovvero gli sciiti.
D. – Qual è l’obiettivo
al quale questi gruppi ribelli vogliono arrivare?
R. – Sostanzialmente, il
caos perché, in una situazione di destabilizzazione, il Pakistan esploderebbe creando
un’instabilità profonda in tutta la regione. Il contagio dall’Afghanistan ha raggiunto
il Pakistan già da parecchio tempo e questi gruppi oltranzisti – di matrice jihadista,
o in qualche modo collegata ad Al Qaeda – stanno provocando situazioni di caos. Le
esplosioni sono ormai un fatto quotidiano. In questo particolare momento, colpiscono
soprattutto gli sciiti, ma ricordo che hanno colpito con almeno 30 mila morti, solo
lo scorso anno, tutto il Paese. Quindi, è uno “sparare nel mucchio”, che va soltanto
a favorire una confusione e una destabilizzazione da cui questi gruppi radicali pensano
di trarre profitto, per imporre un islamismo puro di matrice jihadista con la speranza
che questo porti alla destabilizzazione dell’Afghanistan dopo il 2014, in una situazione
veramente grave e per certi aspetti incontrollabile.
D. – L’Afghanistan: proprio
di questo argomento, oggi, si discuterà alla Casa Bianca nell'incontro tra il presidente
americano, Obama, e quello afghano, Karzai. È possibile, secondo te – visto che ci
sono delle azioni continue e costanti da parte dei droni americani, nel Waziristan
– che si arrivi ad una fine di questi raid?
R. – Non direi. Il problema è che
la partenza degli americani lascerà aperti molti, molti problemi. Certamente, i talebani
non scompariranno da un giorno all’altro e manterranno le loro roccaforti all’interno
del territorio pakistano. Di conseguenza, la tensione resterà alta e, comunque, gli
americani – ma in generale la comunità internazionale – dovranno prenderne atto ed
operare. Dovranno farlo con delle azioni belliche selettive, dovranno farlo assolutamente
con una fortissima pressione diplomatica e anche alimentando, permettendo e consentendo
lo sviluppo in queste regioni. Sviluppo che deve essere economico, ma deve anche essere
sociale e socio-culturale.