Più fedeli nei Santuari che nelle chiese. L'opinione di mons. Coda e del prof. Iannaccone
Santuari pieni, chiese vuote. Sembra questo il panorama che emerge da alcune ricerche
che, da una parte, mettono in luce il crescente numero di persone che si reca nei
Santuari e, dall’altra, parlano di minore partecipazione alla vita parrocchiale. Per
riflettere su questo aspetto, Fausta Speranza ha intervistato il teologo mons.
Piero Coda, preside dell'Istituto Universitario Sophia di Loppiano:
R. - È un fenomeno
che va attentamente decifrato. Porta con sé un messaggio importante da capire e al
quale rispondere da parte della comunità cristiana. L’aspetto senz’altro positivo
è che questo pellegrinare verso i santuari, verso i luoghi del silenzio e del raccoglimento,
manifesta il risveglio di un’intensa esigenza religiosa. Secolarismo dilagante e la
tendenza alla massificazione e all’uniformazione risvegliano il senso spirituale profondo.
Per cui, mi pare che ci sia una crescita di questa esigenza interiore che certamente
si colloca in una dimensione di verticalità, perché il cuore dell’uomo - come diceva
Agostino - è fatto per Dio, quindi cerca assolutamente il contatto con Dio, anche
se non possiamo tralasciare che vi possano essere semplicemente delle esigenze che
vanno nel senso della solitudine del ritrovare se stessi. Ma più profondamente è proprio
la questione di fondo: ritrovare l’incontro con Dio.
D. - Ognuno, come diceva
lei, tende chiaramente al rapporto con Dio e l’incontro con Cristo è la cosa più importante.
Però, per il cristianesimo quanto è importante non perdere la dimensione comunitaria?
R.
- Certamente, questo va anche a detrimento di un’esperienza dell’originalità cristiana,
che è un fatto comunitario e che vive la solitudine, il momento necessario della preghiera
per un ritorno alla vita di tutti i giorni allo scopo di lievitare la massa della
società con il lievito del Vangelo. E dunque, questa realtà ci interpella anche e
ci chiede quanto le nostre comunità cristiane riescano di fatto a coniugare questi
due orizzonti, quello verticale con l’incontro con Dio - che si rende presente in
Gesù vivo al cuore della comunità cristiana - e quello della capacità di immettere
il lievito dell’incontro con Dio in Cristo nella pasta della società umana. Quindi,
sembra una provocazione che viene posta alle nostre comunità parrocchiali e diocesane
perché siano veramente se stesse, fino in fondo. Nella fede cristiana, c’è un fatto
fondamentale che viene illustrato dal Nuovo Testamento, sia nel messaggio di Gesù,
sia nella Catechesi apostolica, come ad esempio nella della Lettera di Paolo agli
Ebrei, cioè il fatto che la presenza di Dio - che si è realizzata definitivamente
in Gesù, il Cristo - è una presenza che si fa "dentro" l’esperienza della comunità.
Il Tempio di Gerusalemme lascia lo spazio al Corpo di Cristo. Il Corpo di Cristo è
la comunità dei discepoli radunati nel nome di Cristo, comunità all’interno della
quale Cristo - come dice il Concilio Vaticano II - si rende presente in molti modi:
l’annuncio della sua Parola, l’Eucaristia, la comunione stessa dei fratelli e delle
sorelle uniti nel nome di Cristo. E quindi, questa dimensione comunitaria è una dimensione
fondamentale che getta le sue radici in un rapporto profondo con quella comunione
trascendente e assoluta che è la vita della Trinità, del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo. Quindi, la comunità cristiana, come insegna il Concilio Vaticano II,
è il Sacramento, cioè il segno, lo strumento dell’unione con Dio e dell’unità di tutto
il genere umano. Occorre quindi riscoprire questa profonda verità e soprattutto occorre,
direi, farne esperienza. È una grande sfida che la comunità sappia irradiare la presenza
di Cristo, incarnarla nella complessità anche difficile e contraddittoria della nostra
società e del nostro mondo. E’ una grande prospettiva e significa attualizzare fino
in fondo la grande lezione del Concilio Vaticano II.
Per parlare di senso religioso,
di Santuari e chiese anche sul piano della comunicazione e su quello dei mass media,
Fausta Speranza ha intervistato lo studioso di storia del cristianesimo e della
comunicazione religiosa, Mario Arturo Iannaccone:
R. – Sicuramente,
ci sono i Santuari pieni e questo non da adesso. In realtà, le statistiche dicono
che il fenomeno non si è mai arrestato, è sempre stato presente nel corso del ’900.
Il Santuario ha questa caratteristica che rimanda all’essenziale: rimanda al silenzio,
alla preghiera, al rapporto personale con Dio. E nei Santuari la comunicazione è più
semplice, la comunicazione fra il presbitero e il fedele. Invece, nelle chiese cittadine,
nelle chiese normalmente frequentate, a volte - non sempre - la comunicazione è più
difficile, c’è un problema di trasmissione fra il magistero pontificio e il popolo.
Manca chiarezza, semplicità. La sfida sarebbe quella di riportare la dimensione verticale,
la semplicità di comunicazione che si verifica nel santuario, anche nelle chiese delle
comunità cittadine.
D. – A volte anche gli orari nelle chiese possono essere
un ostacolo? Alcune chiese, soprattutto del centro, sono spesso chiuse durante il
giorno in alcuni orari… Forse i santuari offrono una disponibilità maggiore?
R.
– Assolutamente, sì. Questo, certo, è anche legato alla scarsità di sacerdoti in questo
momento in alcune aree e quindi ci sono chiese chiuse durante il pomeriggio oppure
che vengono aperte alle 18.30, alle 19.00. Invece, il Santuario, che è quasi sempre
pieno anche la sera, è aperto, le porte del Santuario sono spalancate.
D. -
Il fenomeno c’è: santuari pieni e chiese vuote. Ma c’è anche un fenomeno mediatico?
R.
– Bisogna un po’ distinguere fra la comunicazione della Chiesa e la comunicazione
sulla Chiesa. Nella comunicazione sulla Chiesa, spesso viene spettacolarizzato il
fenomeno del Santuario dell’apparizione, anche quella che magari non è riconosciuta.
D. – Sembra quasi, a volte, che si parli di Chiesa solo come istituzione e
non come popolo di Dio, mentre il Santuario è quasi un’“isola felice” di spiritualità
avulsa dalle istituzioni: è vero che passa un po’ questo messaggio?
R. - Sì,
è vero, passa questo messaggio ed è sbagliato, perché in realtà la Chiesa e il popolo
sono i laici, la chiesetta di città, la chiesetta del paese. Non è solo il grande
santuario, non è solo luogo dove la potenza del divino si è manifestata con un miracolo
o in altro modo. Quindi, passa la Chiesa quando è coinvolta in uno scandalo - perché
questo fa gioco soprattutto a certi media, a certi operatori delle comunicazioni -
mentre la Chiesa quotidiana, la Chiesa del singolo prete o del gruppo che fa carità,
rischia di sparire, oppure di emergere soltanto quando diventa un evento importante.
Sì, passa questo messaggio e andrebbe corretto certamente con i mezzi che sono oggi
a disposizione. Io so che ci sono molte buone opere di evangelizzazione in questo
momento, che passano anche attraverso Internet e attraverso una serie di conferenze,
di riviste... Mi sembra che qualcosa si stia muovendo.