Casini: Lega e Pdl si vergognano di Berlusconi. Nel pd candidature cattoliche
“Lega e Pdl si vergognano di Berlusconi”. Non usa mezzi toni Pier Ferdinando Casini
commentando l'accordo stretto tra il segretario federale della Lega Roberto Maroni
e l'ex premier Silvio Berlusconi. Intanto il Pd annuncia la candidatura di quattro
esponenti di punta dell’associazionismo cattolico. Il Servizio di Giampiero Guadagni:
Ore febbrili
nel Pd impegnato nella chiusura delle liste per le prossime elezioni. Molte le polemiche
a livello locale, dove si chiede a Bersani di far rispettare l'esito delle primarie.
In Puglia il caso più eclatante con le dimissioni presentate e poi ritirate dal segretario
regionale Blasi. Tra le novità di oggi la candidatura ufficializzata di quattro esponenti
del cattolicesimo democratico: Edo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per
il volontariato e coordinatore delle Settimane Sociali; Ernesto Preziosi, già vicepresidente
dell'Azione Cattolica e direttore dell'Istituto Toniolo della Cattolica; Emma Fattorini,
docente di Storia Contemporanea alla Sapienza e storica dei movimenti religiosi; infine
Flavia Nardelli, segretario generale dell'istituto Sturzo. Nel Pd intanto critiche
alla nuova alleanza tra Pdl e Lega: nel mirino in particolare la volontà del Carroccio
di trattenere al Nord il 75% delle tasse. Un patto tra disperati, lo definisce il
leader Udc Casini per il quale parte ora una caccia al tesoro per scoprire chi, tra
Berlusconi, Alfano e Tremonti sarà il loro candidato premier. Maroni assicura la sua
base perplessa: Berlusconi si è impegnato per iscritto a non candidarsi a Palazzo
Chigi. Da parte sua Berlusconi rivolge un altro appello contro l'astensione e a favore
del bipolarismo.
Fa discutere, dunque, l’accordo annunciato ieri tra Pdl e
Lega. Un ottimo accordo secondo i presidenti di Veneto e Piemonte, Zaia e Cota, il
quale sottolinea come esso sia indispensabile per realizzare il progetto politico
leghista: dare vita alla formazione di una macroregione del Nord che possa trattenere
per sé il 75 per cento delle tasse sborsate dai suoi cittadini. Adriana Masotti
ha sentito Stefano Bruno Galli, docente di Storia delle Dottrine politiche
all’Università di Milano e studioso di federalismo e questione settentrionale.
R. – Diciamo
che l’accordo era, a mio giudizio, nella natura delle cose. Nel senso che più volte
il segretario della Lega, l’onorevole Maroni, ha definito la conquista della Regione
Lombardia come la madre di tutte le battaglie. Sulla base dei sondaggi precedenti
l’accordo, mancavano pochi punti per avere un margine abbastanza tranquillizzante
rispetto al candidato del Centrosinistra, e questo margine rassicurante proveniva
dal Pdl, confermando l’alleanza degli ultimi anni anche a livello nazionale. Certo,
questo ha suscitato qualche mal di pancia interno, però – come diceva Gianfranco Miglio
– per l’obiettivo, il realismo politico suggerisce anche di “allearsi col diavolo”,
pur di conseguire e raggiungere l’obiettivo. E questa è la ragione che, appunto, spiega
in profondità l’accordo.
D. – Ma intanto, la questione del premier è in piedi
e comunque divide le due formazioni …
R. – Bè, diciamo che la Lega ha delle
idee, il Pdl ha altre idee … si confronteranno nel corso della campagna elettorale.
La questione del premier la vedo marginale, rispetto alla sostanza dell’accordo che
è la piena accettazione, da parte del Pdl, del progetto politico della Lega.
D.
– Maroni, nella conferenza stampa di ieri, ha assicurato che non ci saranno grossi
problemi per convincere anche la base della bontà di questo accordo …
R. –
Diciamo che un minimo di disagio era prevedibile, perché – appunto – dopo tanti anni
di alleanza i risultati abbastanza modesti portati a casa in nome di questa alleanza,
potevano suscitare qualche perplessità. Il discorso è quello che facevo prima, cioè:
non bisogna dimenticare una cosa che generalmente è sottovalutata. La Lega nasce in
Lombardia, a governare la Regione Lombardia si candida il segretario federale della
Lega ed è la prima volta che ciò accade. E’ la prima volta e ha ottime probabilità
di successo. Questo insieme di cose, cancella sicuramente – da parte dei militanti
– eventuali mal di pancia nei confronti dell’alleato per i risultati conseguiti.
D.
– Ecco: ritorniamo al progetto di questa macro-regione del Nord. Quanto è realistico
che nel corso della prossima legislatura – in caso di vittoria, ovviamente – questo
tipo di federalismo si possa realizzare?
R. – Innanzitutto, c’è un principio
dottrinario, teorico che è il principio del contratto-scambio, vale a dire della forza
negoziale di una regione o più regioni nei confronti dello Stato centrale. Sul rapporto
di contratto-scambio – per intenderci – le regioni a statuto speciale hanno costruito
la loro ricchezza. Il principio è il medesimo. Qui ci troviamo di fronte a tre regioni
che sono Piemonte, Lombardia e Veneto che producono circa il 50 per cento del Pil
e che nello stesso tempo erogano, ogni anno, un assegno a beneficio del resto del
Paese – e quindi delle rimanenti 17 regioni – di circa 50 miliardi di euro: a tanto
ammontano i trasferimenti, secondo i più accreditati studi. Di conseguenza, il meccanismo
del contratto-scambio, rispetto alla questione settentrionale, è praticabile.
D.
– La questione settentrionale è senz’altro legittima. Ma mi viene una domanda: la
crisi in cui l’Italia ancora sta vivendo in pieno, favorisce queste operazioni, favorisce
il federalismo oppure lo dovrebbe frenare in nome della solidarietà, dell’unità nazionale?
R.
– Io sono convinto che la crisi esasperi la sofferenza del Nord, e che la soluzione
della questione settentrionale è sicuramente un elemento che andrebbe a beneficio
anche del resto del Paese, perché consentirebbe di ridurre gli sprechi ecc… consentirebbe
una riorganizzazione complessiva anche del resto del Paese.