Il Papa al Corpo diplomatico: appello per Siria e Africa, Europa non dimentichi gli
ultimi. Il testo del discorso
Importante e denso di spunti il discorso rivolto questa mattina da Benedetto XVI al
Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, incontrato per la tradizionale
udienza di inizio anno. Il Papa ha avuto uno sguardo “universale” sulle varie situazioni
del mondo – dalla crisi siriana a quelle in Africa – è ha invitato l’Europa a “non
rassegnarsi al benessere sociale. Parole del Papa in difesa della pace, della vita
e della libertà religiosa. Di seguito, il testo integrale del discorso pronunciato
da Benedetto XVI:
“Eccellenze, Signore e Signori,
Sono lieto di accogliervi
come all’inizio di ogni nuovo anno, distinti Membri del Corpo Diplomatico accreditato
presso la Santa Sede, per rivolgervi un personale saluto e augurio; lo estendo volentieri
alle care Nazioni che rappresentate e ad esse assicuro il mio costante ricordo e la
mia preghiera. Sono particolarmente grato al Decano, Ambasciatore Alejandro Valladares
Lanza, e al Vice-Decano, Ambasciatore Jean-Claude Michel, per le deferenti parole
che mi hanno rivolto a nome di tutti Voi. In modo speciale desidero, poi, salutare
quanti prendono parte per la prima volta a questo incontro. La vostra presenza è un
segno significativo e apprezzato dei proficui rapporti che, in tutto il mondo, la
Chiesa cattolica intrattiene con le Autorità civili. Si tratta di un dialogo che ha
a cuore il bene integrale, spirituale e materiale, di ogni uomo, e mira a promuoverne
ovunque la dignità trascendente. Come ho ricordato nell’Allocuzione dell’ultimo Concistoro
Ordinario Pubblico per la Creazione di nuovi Cardinali, «la Chiesa, fin dai suoi inizi,
è orientata kat’holon, abbraccia cioè tutto l’universo» e con esso ogni popolo,
ogni cultura e tradizione. Tale “orientamento” non rappresenta un’ingerenza nella
vita delle diverse società, ma serve piuttosto a illuminare la coscienza retta dei
loro cittadini e ad invitarli a lavorare per il bene di ogni persona e per il progresso
del genere umano. E’ in questa prospettiva, e per favorire una proficua collaborazione
tra la Chiesa e lo Stato al servizio del bene comune, che l’anno scorso la Santa Sede
ha firmato Accordi bilaterali con il Burundi e con la Guinea Equatoriale e ha ratificato
quello con il Montenegro; con lo stesso animo partecipa ai lavori di varie Organizzazioni
ed Enti internazionali. Al riguardo, sono lieto che, nello scorso mese di dicembre,
sia stata accolta la sua richiesta di diventare Osservatore Extra-Regionale nel Sistema
di Integrazione Centroamericana, anche in ragione del contributo che la Chiesa cattolica
offre in vari settori delle società di tale Regione. Le visite di diversi Capi di
Stato e di Governo che ho ricevuto nel corso dell’anno passato, come pure gli indimenticabili
Viaggi apostolici che ho compiuto in Messico, a Cuba e in Libano, sono state occasioni
privilegiate per riaffermare l’impegno civico dei cristiani di quei Paesi, come pure
per promuovere la dignità della persona umana e i fondamenti della pace. In questa
sede, mi è pure caro menzionare il prezioso lavoro svolto dai Rappresentanti Pontifici
nel costante dialogo con i Vostri Governi. In particolare desidero ricordare l’apprezzamento
goduto da S.E. Mons. Ambrose Madtha, il Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio che è
tragicamente perito un mese fa in un incidente stradale, insieme all’autista che lo
accompagnava. Signore e Signori Ambasciatori,
Il Vangelo di Luca racconta
che, nella notte di Natale, i pastori odono i cori angelici che glorificano Dio e
annunciano la pace sull’umanità. L’Evangelista sottolinea così la stretta relazione
fra Dio e l’anelito profondo dell’uomo di ogni tempo a conoscere la verità, a praticare
la giustizia e a vivere nella pace (cfr Giovanni XXIII, Pacem in terris: AAS
55 [1963], 257). Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia
e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra
impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra
parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla
ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini
all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione
tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace
non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è
proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti,
quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile
realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza,
dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza
un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi
difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace. Alle manifestazioni
contemporanee dell’oblio di Dio si possono associare quelle dovute all’ignoranza del
suo vero volto, che è la causa di un pernicioso fanatismo di matrice religiosa, che
anche nel 2012 ha mietuto vittime in alcuni Paesi qui rappresentati. Come ho avuto
modo di dire, si tratta di una falsificazione della religione stessa, la quale, invece,
mira a riconciliare l’uomo con Dio, a illuminare e purificare le coscienze e a rendere
chiaro che ogni uomo è immagine del Creatore. Se, dunque, la glorificazione di Dio
e la pace sulla terra sono fra loro strettamente congiunte, appare evidente che la
pace è, ad un tempo, dono di Dio e compito dell’uomo, perché esige la sua risposta
libera e consapevole. Per tale ragione ho voluto intitolare l’annuale Messaggio
per la Giornata Mondiale della Pace: Beati gli operatori di pace. E’ anzitutto
alle Autorità civili e politiche che incombe la grave responsabilità di operare per
la pace. Esse per prime sono chiamate a risolvere i numerosi conflitti che continuano
a insanguinare l’umanità, a cominciare da quella Regione privilegiata nel disegno
di Dio, che è il Medio Oriente. Penso anzitutto alla Siria, dilaniata da continui
massacri e teatro d’immani sofferenze fra la popolazione civile. Rinnovo il mio appello
affinché le armi siano deposte e quanto prima prevalga un dialogo costruttivo per
porre fine a un conflitto che, se perdura, non vedrà vincitori, ma solo sconfitti,
lasciando dietro di sé soltanto una distesa di rovine. Permettetemi, Signore e Signori
Ambasciatori, di domandarvi di continuare a sensibilizzare le vostre Autorità, affinché
siano forniti con urgenza gli aiuti indispensabili per far fronte alla grave situazione
umanitaria. Guardo poi con viva attenzione alla Terra Santa. In seguito al riconoscimento
della Palestina quale Stato Osservatore non Membro delle Nazioni Unite, rinnovo l’auspicio
che, con il sostegno della comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi s’impegnino
per una pacifica convivenza nell’ambito di due Stati sovrani, dove il rispetto della
giustizia e delle legittime aspirazioni dei due Popoli sia tutelato e garantito. Gerusalemme,
diventa ciò che il Tuo nome significa! Città della pace e non della divisione; profezia
del Regno di Dio e non messaggio d’instabilità e di contrapposizione! Rivolgendo
poi il pensiero alla cara popolazione irachena, auguro che essa percorra la via della
riconciliazione, per giungere alla desiderata stabilità. In Libano – dove, nello
scorso mese di settembre, ho incontrato le sue diverse realtà costitutive - la pluralità
delle tradizioni religiose sia una vera ricchezza per il Paese, come pure per tutta
la Regione, e i cristiani offrano una testimonianza efficace per la costruzione di
un futuro di pace con tutti gli uomini di buona volontà. Anche in Nord Africa
è prioritaria la collaborazione di tutte le componenti della società e a ciascuna
deve essere garantita piena cittadinanza, la libertà di professare pubblicamente la
propria religione e la possibilità di contribuire al bene comune. A tutti gli Egiziani
assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera, in questo periodo in cui si formano
nuove istituzioni. Volgendo lo sguardo all’Africa sub-sahariana, incoraggio gli
sforzi per costruire la pace, soprattutto dove rimangono aperte le ferite delle guerre
e pesano gravi conseguenze umanitarie. Penso in modo particolare alla Regione del
Corno d’Africa, come pure all’Est della Repubblica Democratica del Congo, dove le
violenze si sono riacutizzate, obbligando numerose persone ad abbandonare le proprie
case, le proprie famiglie e i propri contesti di vita. In pari tempo, non posso ignorare
le altre minacce che si affacciano all’orizzonte. A intervalli regolari la Nigeria
è teatro di attentati terroristici che mietono vittime, soprattutto tra i fedeli cristiani
riuniti in preghiera, quasiche l’odio volesse trasformare dei templi di preghiera
e di pace in altrettanti centri di paura e di divisione. Ho provato una grande tristezza
nell’apprendere che, perfino nel giorno in cui noi celebriamo il Natale, dei cristiani
sono stati uccisi barbaramente. Anche il Mali è dilaniato dalla violenza ed è segnato
da una profonda crisi istituzionale e sociale, che deve suscitare un efficace interessamento
da parte della comunità internazionale. Nella Repubblica Centrafricana, auspico che
i colloqui annunciati per i prossimi giorni riportino la stabilità e risparmino alla
popolazione di rivivere gli orrori della guerra civile. Sempre di nuovo la costruzione
della pace passa per la tutela dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali. Tale impegno,
seppure con modalità e intensità diverse, interpella tutti i Paesi e deve costantemente
essere ispirato dalla dignità trascendente della persona umana e dai principi iscritti
nella sua natura. Fra questi figura in primo piano il rispetto della vita umana, in
ogni sua fase. Mi sono pertanto rallegrato che una Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare
del Consiglio d’Europa, nel gennaio dello scorso anno, abbia chiesto la proibizione
dell’eutanasia, intesa come uccisione volontaria, per atto o omissione, di un essere
umano in condizioni di dipendenza. Allo stesso tempo, constato con tristezza che,
in diversi Paesi, anche di tradizione cristiana, si è lavorato per introdurre o ampliare
legislazioni che depenalizzano o liberalizzano l’aborto. L’aborto diretto, cioè voluto
come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale. Nell’affermare
ciò la Chiesa cattolica non intende mancare di comprensione e di benevolenza, anche
verso la madre. Si tratta, piuttosto, di vigilare affinché la legge non giunga ad
alterare ingiustamente l’equilibrio fra l’eguale diritto alla vita della madre e del
figlio non nato. In questo campo, la recente decisione della Corte Interamericana
dei Diritti Umani relativa alla fecondazione in vitro, che ridefinisce arbitrariamente
il momento del concepimento e indebolisce la difesa della vita prenatale, è ugualmente
fonte di preoccupazione. Purtroppo, soprattutto nell’Occidente, vi sono numerosi
equivoci sul significato dei diritti umani e dei doveri ad essi correlati. Non di
rado i diritti sono confusi con esacerbate manifestazioni di autonomia della persona,
che diventa autoreferenziale, non più aperta all’incontro con Dio e con gli altri,
ma ripiegata su se stessa nel tentativo di soddisfare i propri bisogni. Per essere
autentica, la difesa dei diritti deve, al contrario, considerare l’uomo nella sua
integralità personale e comunitaria. Proseguendo nella nostra riflessione, vale
la pena di sottolineare come l’educazione sia un’altra via privilegiata per la costruzione
della pace. Ce lo insegna, fra l’altro, l’odierna crisi economica e finanziaria. Essa
si è sviluppata perché troppo spesso è stato assolutizzato il profitto, a scapito
del lavoro, e ci si è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria,
piuttosto che di quella reale. Occorre dunque recuperare il senso del lavoro e di
un profitto ad esso proporzionato. A tal fine, giova educare a resistere alle tentazioni
degli interessi particolari e a breve termine, per orientarsi piuttosto in direzione
del bene comune. Inoltre, è urgente formare i leaders, che, in futuro, guideranno
le istituzioni pubbliche nazionali ed internazionali (cfr Messaggio per la XLVI
Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2012, 6). Anche l’Unione Europea ha bisogno
di Rappresentanti lungimiranti e qualificati, per compiere le scelte difficili che
sono necessarie perrisanare la sua economia e porre basi solide per il suo
sviluppo. Da soli alcuni Paesi andranno forse più veloci, ma, insieme, tutti andranno
certamente più lontano! Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari,
dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi,
e molti, irrimediabilmente più poveri. Si tratta, insomma, di non rassegnarsi allo
“spread del benessere sociale”, mentre si combatte quello della finanza.
Investire
nell’educazione nei Paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America
Latina significa aiutarli a vincere la povertà e le malattie, come pure a realizzare
sistemi di diritto equi e rispettosi della dignità umana. E’ chiaro che, per affermare
la giustizia, non bastano buoni modelli economici, per quanto essi siano necessari.
La giustizia si realizza soltanto se ci sono persone giuste! Costruire la pace significa
pertanto educare gli individui a combattere la corruzione, la criminalità, la produzione
ed il traffico della droga, nonché ad evitare divisioni e tensioni, che rischiano
di sfibrare la società, ostacolandone lo sviluppo e la pacifica convivenza. Continuando
la nostra odierna conversazione, vorrei aggiungere che la pace sociale è messa in
pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa: talvolta si tratta di marginalizzazioni
della religione nella vita sociale; in altri casi di intolleranza, o persino di violenza
nei confronti di persone, di simboli identitari e di istituzioni religiose. Capita
anche che ai credenti - e ai cristiani in modo particolare - sia impedito di contribuire
al bene comune con le loro istituzioni educative ed assistenziali. Per salvaguardare
effettivamente l’esercizio della libertà religiosa è poi essenziale rispettare il
diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà tocca dei principi
di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella dignità stessa
della persona umana. Essi sono come i “muri portanti” di ogni società che voglia essere
veramente libera e democratica. Pertanto, vietare l’obiezione di coscienza individuale
ed istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, paradossalmente aprirebbe
invece le porte proprio all’intolleranza e al livellamento forzato. Inoltre, in
un mondo dai confini sempre più aperti, costruire la pace mediante il dialogo non
è una scelta, ma una necessità! In questa prospettiva la Dichiarazione congiunta tra
il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca e il Patriarca di Mosca, firmata
nello scorso mese di agosto, è un segno forte dato dai credenti per favorire i rapporti
fra il Popolo russo e il Popolo polacco. Parimenti, desidero menzionare l’accordo
di pace recentemente raggiunto nelle Filippine e, in modo particolare, sottolineare
il ruolo del dialogo tra le religioni per una convivenza pacifica nella regione di
Mindanao.
Eccellenze, Signore e Signori,
al termine dell’Enciclica Pacem
in terris, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario, il mio Predecessore Beato
Giovanni XXIII, ricordava che la pace rimane «solo suono di parole» se non è vivificata
e integrata dalla carità (AAS 55 [1963], 303). Dunque, quest’ultima è al cuore
dell’azione diplomatica della Santa Sede e, prima ancora, della sollecitudine del
Successore di Pietro e di tutta la Chiesa cattolica. La carità non sostituisce la
giustizia negata, ma d’altra parte la giustizia non supplisce la carità rifiutata.
La Chiesa pratica quotidianamente la carità nelle opere assistenziali, quali ospedali
e dispensari, ed educative, quali orfanotrofi, scuole, collegi, università, nonché
con l’assistenza fornita alle popolazioni in difficoltà, specialmente durante e dopo
i conflitti. In nome della carità la Chiesa vuol’essere vicina anche a quanti soffrono
a causa delle calamità naturali. Penso alle vittime delle inondazioni nel Sud-Est
asiatico e dell’uragano che ha colpito la costa orientale degli Stati Uniti d’America.
Penso anche a coloro che hanno subito il forte terremoto, che ha devastato alcune
Regioni dell’Italia settentrionale. Come sapete, ho voluto recarmi personalmente in
questi luoghi, dove ho potuto constatare l’ardente desiderio con cui s’intende ricostruire
ciò che è andato distrutto. Auspico che, in questo momento della sua storia, tale
spirito di tenacia e di impegno condiviso animi tutta la diletta Nazione italiana.
Concludendo il nostro incontro, vorrei ricordare che al termine del Concilio Vaticano
II – inaugurato proprio cinquant’anni or sono – il Venerabile Papa Paolo VI indirizzò
alcuni Messaggi che sono sempre di attualità, uno dei quali destinato a tutti i Governanti.
Li esortò in questi termini: «Tocca a voi essere sulla terra i promotori dell’ordine
e della pace tra gli uomini. Ma non lo dimenticate: è Dio (…) il grande artefice dell’ordine
e della pace sulla terra»(Messaggio ai Governanti, 8 dicembre 1965,
3). Oggi faccio mie queste considerazioni, nel formulare a Voi, Signore e Signori
Ambasciatori e distinti Membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie e ai Vostri
Collaboratori, i più fervidi auguri per il Nuovo Anno. Grazie! L’udienza del Papa
al Corpo diplomatico darà vita oggi pomeriggio, alle 16, a una tavola rotonda organizzata
dalla Radio Vaticana. Protagonisti saranno tre ambasciatori presenti all’incontro
con Benedetto XVI: Ulla Gudmundson, ambasciatore svedese, John McCarthy, ambasciatore
australiano, e Mercedes A. Tuason, ambasciatore delle Filippine. Il dibattito, imperniato
su un commento agli argomenti toccati dal Pontefice, potrà essere seguito in diretta
audio-video all’indirizzo “youtube.com/radiovaticanavideo”.