2013-01-07 07:46:27

Domani alla Casa Bianca l’incontro tra il presidente Usa Obama e l'omologo afgano Karzai


Domani a Washington l’incontro tra il presidente Karzai e il capo della Casa Bianca Obama. Sul tavolo anche un accordo di cooperazione strategica da attuare a partire dall’anno prossimo in vista del ritiro delle truppe internazionali. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Marco Lombardi, dell'Università Sacro Cuore di Milano, esperto di politiche di sicurezza:RealAudioMP3

R. – Al centro dei dibattiti c’è l’accordo sul ritiro americano. Apparentemente il discorso è su quante truppe resteranno in Afghanistan – una cifra che oscilla da seimila a ventimila a fronte delle sessantaseimila attuali. Ma dietro c’è una questione politica rilevante che riguarda la sovranità dell’Afghanistan: qual è l’immunità degli americani che restano sul campo? A chi rispondono delle azioni che fanno, agli americani o al governo afghano? Sicuramente resteranno sul campo per fare operazioni antiterrorismo: ma i prigionieri afghani accusati di terrorismo da chi saranno detenuti e controllati, dagli americani o dagli afghani? Questo è cruciale per Karzai per dimostrare che è lui che governa l’Afghanistan.

D. - Qual è la posizione di Karzai a riguardo?

R. – La posizione di Karzai è di un uomo in bilico. L’Afghanistan, nel futuro, deve necessariamente negoziare con quelle parti che noi consideriamo ancora estremiste sebbene non necessariamente terroriste. Con i radicali si parla, con i terroristi no. Questa è una posizione che ormai dobbiamo assumere. Karzai lo sa e quindi deve restare bilanciato tra le pressioni americane e occidentali e le pressioni interne che saranno sempre più forti, dopo il ritiro delle truppe, da parte di quelli che chiamiamo oggi “insurgents” e che entreranno a far parte del “governo” afghano.

D. – Sembra che il Pentagono non voglia ritirarsi completamente dall’Afghanistan…

R. – No, non può essere. Obama sembrerebbe intenzionato a lasciare sul terreno intorno a diecimila. Fu lo stesso con l’Iraq nel 2011 quando si parlava di tremila soldati, ma anche lì, ci si incastrò sulla questione della sovranità. Sicuramente l’Afghanistan non sarà lasciato solo, almeno su questi tre punti che sono lotta al terrorismo, training delle truppe, e qualche joint operation. A seconda di quale di queste tre azioni si punterà, si determinerà il numero e la qualità delle truppe lasciate alle spalle.

D. - Il motivo principale è che le forze locali hanno bisogno di appoggio per garantire la sicurezza nel Paese a fronte dei talebani che sono sempre attivi…

R. - Sì ma non solo i talebani. Il Paese è squassato da un’incapacità di governo evidente e lo è sempre stato. Il Paese tornerà ad essere polverizzato in decine di tribù autonome. Questo è un dato di fatto dell’Afghanistan. Non pensiamo che si debba restare per far la lotta al terrorismo, che è un’invenzione del tutto nostra. Certo, perché diventi un Paese più moderno, seppur nel contesto delle speciali relazioni in cui si trova in quel centro Asia, ha bisogno di avere truppe trainate che rispondano a un governo legittimo. E questo forse è il compito principale.

D. – Intanto i talebani continuano a minacciare gli americani e le forze straniere. Come valutare la loro strategia?

R. – Non hanno vinto. Si ritrovano in mano un terreno che è stato abbandonato - e io dico troppo tardi - dalle truppe internazionali. E’ ovvio che rispondono in maniera propagandistica dando come vittoria qualche cosa che gli è capitato in mano. Ma questa è una lettura. D’altro canto c’è anche quella di che cosa accadrà dopo. E necessariamente succederà che Karzai dovrà fare i conti con questa gente, che sono afghani legittimati a parlare con le istituzioni.







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