Bahrein. Condannati leader della “primavera araba”. Intervista con il nunzio, mons.
Rajic
In Bahrein, l'Alta Corte ha confermato le sentenze di condanna a carico di 13 leader
della rivolta antigovernativa del 2011, esplosa sulla scia della cosiddetta “Primavera
araba”. Molti osservatori temono che possano riaccendersi le proteste della maggioranza
sciita, governata dalla monarchia sunnita. Massimiliano Menichetti:
Sale la tensione
in Bahrein, dopo la conferma da parte della Cassazione delle condanne nei confronti
di tredici leader del “Movimento 14 febbraio”, che nel 2011 capeggiarono le contestazioni
antigovernative, costate la vita a trenta persone. Venti in realtà i condannati, tredici
quelli che avevano presentato il ricorso che si è chiuso con sentenza inappellabile.
Condanne da cinque anni di reclusione, all’ergastolo. Alcuni sono riusciti a fuggire
dal Paese prima dei processi. Tra i condannati alla pena a vita, anche l'attivista
per i diritti civili Abdulhadi al-Khawaja e il leader dell'opposizione Hassan Mushaimaa,
che aveva chiesto l'instaurazione della repubblica. Ora, comunque, si temono nuove
proteste della maggioranza sciita del Paese, governata dalla monarchia sunnita, come
accadde nell'aprile 2011 prima e durante il Gran Premio di Forula 1 che si tenne nella
capitale Manama. Ma come vivono i cattolici in Bahrein questa situazione? Lo abbiamo
chiesto al nunzio apostolico, mons. Petar Rajic:
R. – Loro non si sentono
tanto coinvolti nelle vicende attuali, sociali e civili, del Paese perché sono vicende
che riguardano soprattutto la comunità musulmana, ma comunque vivono la pressione
che c’è nell’atmosfera generale della società. D’altro canto, i cristiani sono percepiti
e conosciuti come buoni lavoratori, molto responsabili, e sono apprezzati per il loro
contributo alla società. Il fatto che mantengono una posizione “neutrale” da loro
la possibilità di donare una bella testimonianza di valori come la pace e la concordia.
D. – Quanto è grande la comunità cattolica nel Paese?
R. – E’ assai
grande. Sono tra 80 mila e 100 mila persone che provengono da varie parti dell’Asia,
maggiormente dall’India e dalle Filippine, poi, ci sono europei e latinoamericani.
E’ una comunità in costante crescita.
D. – Quali sono i progetti che in questo
momento si stanno portando avanti?
R. – Dato che la comunità è in crescita
e abbiamo una sola chiesa nel Paese, il vescovo locale ha richiesto l’autorizzazione
per un nuovo terreno e la costruzione di una nuova chiesa, sempre nella speranza che
sia concessa al più presto possibile. E ci sono ottime possibilità in questa direzione:
le massime autorità del Bahrein, a cominciare dal re e poi dal governo, desiderano
realizzare questo progetto come un segno di apertura verso i cristiani.
D.
- Quindi, c’è una Chiesa viva e dall’altra parte c’è un buon dialogo con le varie
realtà locali?
R. – Senz’altro. C’è un buon dialogo e il fatto che il vescovo
abbia trasferito la sede del vicariato da Kuwait city a Manama in Bahrein mostra la
vivacità di questa realtà e l’apertura che qui c’è. Finora, non ci sono state difficoltà
con le autorità: unico aspetto è la lentezza burocratica, ma sappiamo e speriamo che
ogni progetto sarà realizzato.