Turchia: al via il dispiegamento dei missili Nato verso Damasco
In Siria prosegue l’offensiva delle truppe di Assad contro i ribelli. L’osservatorio
siriano per i diritti umani denuncia l’impiego dell’aviazione e parla di un centinaio
di morti in diverse regioni. Intanto nella vicina Turchia sono arrivati i primi soldati
USA per monitorare il dispiegamento delle batterie di missili NATO per proteggere
il territorio da eventuali sconfinamenti siriani. Ce ne parla Marina Calculli:
Prende il via
l’operazione NATO di dispiegamento dei missili Patriot in Turchia. I militari americani
sono arrivati ieri nella base aerea di Icirlick proprio per rendere operazionali i
missili. Nel prossimi giorni si aspettano altri 400 uomini per completare l’operazione.
Nel frattempo sul terreno l’esercito è stato rafforzato alla periferia di Damasco
e in particolare nei pressi di Daraya, una località che gli uomini di Assad cercano
di riprendere da diverse settimane. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani
ieri sono morte un centinaio di persone in Siria. Tra di loro ci sarebbe anche Hossam
Ghazaleh un membro della famiglia di Rustom Ghazaleh, il capo della sicurezza politica
ed ex pezzo da novanta delle mukhabarràt, i servizi d’intelligence. Inoltre ieri è
esplosa una bomba in un quartiere di Damasco dove vive un’importante comunità alawita.
E’ una guerra che ha preso ormai apertamente la forma di un conflitto interconfessionale,
come ha riconosciuto anche l’ultimo rapporto ONU. Proprio per questo testo, tuttavia,
il regime ha accusato le Nazioni Unite di scarsa professionalità: secondo le autorità
siriane rispecchierebbe troppo le idee politiche dei suoi avversari.
Intanto
nel paese si fa sempre più drammatica la condizione di vita dei civili mentre cresce
il numero dei profughi. Marie Duhamel ne ha parlato con Fabrice Weissman, del
Centro di ricerca sull’azione umanitaria di Medici senza Frontiere:
R. - Il y a,
si vous voulez, cet aide mis en place avec par le réseau des médecins… C’è una
sorta di sostegno messo in opera dai medici siriani con un aiuto limitato dall’estero,
che consente di offrire un minimo di servizi di assistenza sanitaria che però è ampiamente
insufficiente rispetto alle esigenze. Nelle zone controllate dall’opposizione appare
evidente la necessità di molti più aiuti, soprattutto in termini di medicinali e personale
medico. Poi, c’è la necessità di alloggi, di cibo ed energia elettrica: ci sono infatti
oltre due milioni di persone sfollate internamente, gran parte delle quali si è rifugiata
nei villaggi più distanti dalle linee del fronte, nella zona “ribelle”. Le persone
che sono fuggite dalle zone dei combattimenti vivono dai parenti in appartamenti sovraffollati,
oppure nelle tende. Le loro condizioni di vita sono molto precarie, considerando anche
l’inverno che in questa regione è molto rigido: spesso la notte porta il gelo. Oltre
alla difficoltà di alloggiare queste persone, c’è anche la crisi energetica: diventa
sempre più difficile trovare carburante nelle regioni controllate dall’opposizione
armata. E’ noto che prima della guerra la benzina e gli altri aiuti erano sovvenzionati
dal governo e che oggi, invece, non solo non c’è più sovvenzione ma nemmeno rifornimento
dalle regioni controllate dal governo, e i Paesi limitrofi sono restii a fornire carburante
ed energia. Nella regione di Aleppo, ad esempio, il prezzo della benzina è aumentato
di 30 volte, e questo rende gli spostamenti estremamente difficili, fa aumentare il
costo dei trasporti e quindi il prezzo del cibo, rende più difficile il riscaldamento
delle case e spiega anche la mancanza di farina: i mulini non possono lavorare perché
mancano il carburante o la corrente elettrica. Oggi registriamo carenza di pane nella
maggior parte delle città, come ad Aleppo. Anche in questo caso, si può calcolare
che nelle zone controllate dai ribelli servirebbe un aiuto alimentare molto più consistente,
sotto forma di farina, di latte in polvere per i bambini.
D. – Arrivano gli
aiuti umanitari internazionali?
R. - L'aide internationale est encore très
limitée… L’aiuto internazionale è ancora molto limitato: si tratta sostanzialmente
di aiuto medico fornito dalle reti di solidarietà siriane con il supporto dei Paesi
vicini, mentre gli attori tradizionali dell’aiuto internazionale – sia le agenzie
dell’Onu, sia le grandi Ong internazionali – sono poco presenti nella regione, a causa
del mancato sostegno finanziario e diplomatico da parte della comunità internazionale,
quindi dei Paesi occidentali, della Cina e della Russia. Bisogna dire che lavorare
oggi nella zona controllata dai ribelli è possibile sia da un punto di vista logistico
che di sicurezza, anche se ovviamente permane il rischio dei bombardamenti aerei;
nonostante molti Paesi riconoscano l’opposizione siriana come l’unico legittimo rappresentante
del popolo siriano, sono in pochi quelli disposti a finanziare le operazioni di soccorso
umanitario nelle zone ribelli e a fornire garanzie politiche agli operatori delle
Nazioni Unite che consentirebbero loro di entrare nelle zone in questione, sfuggendo
al controllo di Damasco.