Repubblica Centrafricana, martedì i negoziati. Unicef: allarme per i bambini soldato
In Centrafrica i ribelli di Seleka, divisi al loro interno, hanno conquistato due
nuove città. Un’avanzata che arriva a pochi giorni dall’avvio dei colloqui di pace,
previsti per martedì in Gabon, con una delegazione del governo di Bozizé. Il presidente
ha assicurato di non volersi ricandidare nel 2016, ma sembra difficile che si faccia
da parte. Intanto, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha esortato i ribelli a fermare
l'offensiva militare e a ritirarsi dalle città conquistate in modo da non ostacolare
l’assistenza alla popolazione. Un allarme sul reclutamento dei bambini soldato è stato
lanciato dall’Unicef. Al microfono di Benedetta Capelli, il portavoce di Unicef-Italia,
Andrea Iacomini:
R. – L’Unicef
ha chiesto ai ribelli e alle milizie che sostengono il governo della Repubblica Centrafricana
di sospendere il reclutamento di bambini che purtroppo sono costretti a combattere,
a portare rifornimenti e che vengono resi schiavi sessuali dai gruppi armati. Non
bisogna dimenticare che in Centrafrica, proprio dal 10 dicembre scorso, i ribelli
di Seleka hanno lanciato un attacco contro il presidente, François Bozizé, e hanno
conquistato molte città del Nord. Proprio rispetto a questa situazione, l’Unicef ha
tenuto a precisare che ci sono 2.550 bambini reclutati da ambo le parti in conflitto
dall’inizio delle ostilità, e che ci sono – e questo è un dato molto importante su
cui bisogna riflettere e su cui ci auguriamo che proprio i colloqui di pace intervengano
al più presto – 300 mila bambini che, pur non essendo reclutati nella fila dell’esercito,
sono vittime di violenze. Quindi, davvero una situazione all’interno della quale bisogna
urgentemente intervenire.
D. – In che modo intervenire? Quali sono le linee
che l’Unicef indica a tal proposito?
R. – L’Unicef chiede alle parti in conflitto
che vengano rispettati gli accordi internazionali riguardanti il reclutamento dei
bambini soldato. Non dimentichiamo che nel mondo ci sono ancora 300 mila bambini che
vengono reclutati e di questo numero altissimo, molti sono naturalmente in Africa:
in Mali, nello Yemen, nella Repubblica Centrafricana stessa, ma abbiamo evidenze che
questo avvenga anche in Siria. Quindi, le linee più importanti sono queste: la protezione
dei bambini durante il conflitto e il "no" forte al reclutamento dei bambini soldato,
con il rispetto delle Convenzioni internazionali. Queste sono le linee-guida ufficiali
che l’Unicef intende dare proprio in questi giorni, quando stanno per avviarsi i colloqui
di pace.
D. – Che cosa significa diventare un bambino soldato? E soprattutto,
quali sono le conseguenze che questo minore avrà, poi, nella propria vita?
R.
– Partiamo da un presupposto fondamentale: la Repubblica Centrafricana, come molti
di questi Paesi dilaniati dai conflitti, sono anche Paesi molto poveri. Spesso queste
famiglie disperate lasciano che i figli vengano presi dalle milizie, spesso dietro
pagamento, e vengano quindi reclutati senza sapere che questi bambini saranno poi
oggetti di violenze sessuali. Ma soprattutto, questi bambini imbracciano fucili e,
nella maggior parte dei casi, vengono uccisi. Quindi, non solo riportano danni psicologici
molto gravi, ma quel che è più grave è l’utilizzo delle armi e l’esposizione alla
violenza. Sono tutti fattori negativi, fondamentali, che bisogna evitare. Ecco perché
noi diciamo no, in maniera molto forte, al reclutamento: perché non soltanto c’è un
rischio di morte altissimo, ma perché i bambini sono bambini traumatizzati per tutta
la vita, esposti alle peggiori barbarie. Queste situazioni si complicano poi dove
esistono gravi, gravissimi problemi legati alla fame e alla povertà. Ed ecco perché
è utile che gli Stati intervengano per mettere fine a questo scempio.