Politica e web: come cambia la comunicazione. Il commento di Fausto Colombo
Il Web, i blog, twitter: sono sempre più i social network le piattaforme della comunicazione
anche politica. L'ultimo evento mediatico lo dimostra: sabato, in due ore Mario Monti
ha ricevuto oltre duemila domande ed ha risposto soltanto a 16 di esse con 140 caratteri
in tutto e più di 5mila follower acquisiti. I dati sono di una società specializzata
in analisi dei social network. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Fausto
Colombo direttore dell'Osservatorio sulla Comunicazione dell'Università Cattolica
di Milano:
R. – La strategia è quella di utilizzare più canali possibili
per raggiungere il numero maggiore di persone. Dopodiché, ciascun canale ha le sue
specificità. Twitter ha come sua specificità un’enorme brevità e quindi necessita
la riduzione di ciò che si vuole dire a battute molto semplici, che a volte possono
essere icastiche, soprattutto quando si contrattacca qualcuno, quando si cerca di
smontare con una battuta qualcun altro; altre volte, diventano più difficili da usare:
esprimere un programma politico in un battuta di Twitter è davvero complicato. Quindi,
se si vuole domandare quale sia l’efficacia di Twitter, bisogna distinguere tra l’efficacia
specifica per mandare messaggi e si ha il vantaggio che è molto rapido, molto istantaneo,
mentre ha il limite che è troppo veloce. E la politica è una cosa seria.
D.
– C’è stata la presa di posizione piuttosto dura di Zavoli, presidente della Commissione
di vigilanza della Rai, sulla questione della par condicio in televisione. Questo
vuol dire che un mezzo vecchio, forse, come lo è la televisione, però non è ancora
completamente obsoleto?
R. – Non solo. Io aggiungerei di più: non è obsoleto,
anzi, è sempre più importante e fondamentale il ruolo dei giornalisti. Io posso modificare
e lavorare sulla par condicio, ma ormai i media, attraverso cui gli uomini politici
possono parlare, sono pressoché infiniti e non tutti sono soggetti alla par condicio.
Insomma, siamo abituati a pensare che la par condicio possa fare qualcosa, ma può
fare qualcosa nel ristrettissimo ambito della televisione, non negli altri. Mentre
il ruolo dei giornalisti è sempre più importante. Quello che è interessante non è
che le persone parlino tutte per lo stesso numero di minuti o che siano presenti per
la stessa mezz’ora in televisione; la cosa importante è che i giornalisti si ricordino
di fare quello che devono fare, cioè mettere in discussione ciò che viene raccontato
dall’uomo politico, fare la parte del cittadino. E a me sembra che, tutto sommato,
soprattutto nell’ultima fase, qualche segnale in questo senso si veda. Ecco: questo
mi pare straordinariamente più importante della par condicio, che pure ha il suo ruolo
nel nostro Paese!
D. – Da qui a febbraio, al voto, che cosa ci si dovrà aspettare
ancora dal punto di vista comunicativo, secondo lei?
R. – Di tutto! Principalmente
legato al fatto che per la prima volta dopo 20 anni, noi siamo usciti da un’ottica
bipolare: abbiamo molti soggetti diversi che fanno una campagna molto complessa, in
una situazione economica, politica, internazionale estremamente complessa. E, oltretutto,
dopo una lunghissima fase di disaffezione alla politica da parte della cittadinanza.
E’ difficile dire che cosa succederà. Certamente stiamo per assistere a qualcosa di
assolutamente nuovo per il nostro Paese.