Mons. Toso: il vero riformismo non abbatte lo Stato sociale
Per Benedetto XVI, "la pace non è solo un altro nome dello sviluppo integrale, ma
è anche un altro nome del bene comune della famiglia umana": è quanto affermato da
mons. Mario Toso, intervenuto alla Scuola di Pace promossa a Roma dalla Fraternità
Francescana Frate Jacopa, incentrata sul Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata
Mondiale della Pace del 2013. Il Papa, ha detto il segretario del dicastero “Giustizia
e Pace”, auspica una “nuova evangelizzazione del sociale” per raggiungere la pace
e invita “tutte la forze politiche, indipendentemente dal loro schieramento a formare
un fronte trasversale che unifica credenti e non credenti” nell’impegno dello
“sviluppo integrale”, della pace e del bene comune. Il presule ha inoltre affermato
che, alla luce del Messaggio per la pace, “il capitalismo neoliberista, pervaso da
un’ideologia radicale, libertaria e consumistica” deve “essere abbandonato quanto
prima”. E si deve piuttosto lavorare ad un “nuovo capitalismo, etico e popolare”.
Per una riflessione sui temi forti del Messaggio, Alessandro Gisotti ha intervistato
proprio mons. Mario Toso:
R. – Innanzitutto,
nell'affermazione che la pace è vocazione innata dell'uomo e che quindi non si è condannati
alle guerre, alla violenza, al sopruso perenni. In secondo luogo, nell'affermazione
che la pace non è semplice opera dell'uomo ma è anzitutto dono di Dio: si tratta dello
smascheramento di tutte quelle visioni che emarginano Dio dalla vita degli uomini
e delle società. In terzo luogo nel dire, per conseguenza, che la pace non è un sogno,
un'utopia. È possibile per l'uomo, grazie a Dio, al suo aiuto, alla sua presenza nella
storia: l'umanità non è da sola a lottare per la pace. È sorretta da una forza morale
trascendente. In quarto luogo, nel proporre, come più commisurati all'opera della
pace, gli umanesimi integrali (non integristi), basati su un'etica della comunione
e della condivisione.
D.- Nel rivolgersi agli operatori di pace, il Messaggio
del Papa contiene anche una valenza progettuale e politica in senso alto?
R.
- Senza dubbio. Anzi, bisogna subito dire che non sembra sia stata adeguatamente colta.
Per Benedetto. XVI la pace è il nuovo nome del bene comune. Pace e bene comune stanno
insieme: una non può esistere senza l'altro, e viceversa. Dall'epoca moderna ad oggi,
- come sottolineò per tempo Giovanni XXIII adottando espressioni “laiche”, giustificabili
sul piano della ragione naturale -, l'attuazione del bene comune e della pace, in
vista del conseguimento di una vita in pienezza, ha trovato la sua indicazione di
fondo nei diritti e doveri dell'uomo. Le comunità politiche sono chiamate,
per conseguenza, a riconoscere, tutelare, promuovere tali diritti e doveri, considerandoli
come un insieme unitario ed indivisibile — corrispondentemente alla
totalità della persona, al volume intero del suo essere — non decurtandolo di parti
essenziali. Via della realizzazione della pace è la realizzazione del bene comune,
dei diritti e doveri che rappresentano le direttrici di attuazione del bene comune.
Proprio per questo i costruttori della pace - comunità politiche, partiti, altri soggetti
delle società civili -, coloro che intendono perseguire il bene comune debbono avere
come punto di riferimento i diritti e doveri dell'uomo considerati come un'unità indivisibile:
unità espressiva della pienezza dell'umanità che è al centro dell'anelito alla
pace. Su queste basi il Messaggio sollecita la politica, intesa in senso alto, a non
essere dimidiata, ovvero politica ideologica in senso negativo. La vera politica deve
mirare alla realizzazione del compimento umano. La politica è amore alla vita umana
nella sua integralità. Da questo punto di vista, gli stessi partiti, pur guardando
al bene comune da un punto di vista particolare non possono essere privi dell'orizzonte
del bene umano integrale. Il vero riformismo di cui tanto oggi si parla si trova avvicinandosi
il più possibile, nelle agende, nei programmi partitici, all'integralità dei diritti-doveri
dell'uomo. Là dove, per varie ragioni tattiche di alleanza, si mette la sordina su
alcuni diritti fondamentali, si frena il vero riformismo. Il riformismo è tale se
favorisce la pienezza della umanità in tutte le persone.
D. - Le vie di un
riformismo umanizzante, allora, quali sono?
R. - L'attenzione alla totalità
dei diritti-doveri induce la politica a non trascurare, ad esempio, il diritto
al lavoro: il lavoro è un bene fondamentale e non un optional come
farebbe intendere la nuova dottrina del capitalismo finanziario sregolato, e, pertanto,
occorre promuovere politiche attive del lavoro per tutti. Così, la politica non deve
puntare all'abbattimento dello Stato sociale e democratico, erodendo i diritti
sociali, pena la crescita delle diseguaglianze e il conseguente indebolimento
della democrazia partecipativa. Senza i diritti sociali non sono fruibili i diritti
civili e politici. Analogamente, non si debbono contrapporre politiche dello sviluppo
e politiche sociali. Se tagli sugli sprechi debbono essere fatti, se tassazioni ci
debbono essere ciò non significa penalizzare gli investimenti nella ricerca, nell'innovazione,
nello studio, in nuove aree di operosità. Si dovrebbe escluderli, indefinitiva, dal
deficit di bilancio. Essi rappresentano le condizioni indispensabili per favorire
la crescita e la ricchezza nazionale. Ma alla luce della totalità dei diritti la politica
non dovrebbe, penalizzare i credenti discriminando la libertà religiosa nelle sue
varie articolazioni, come anche l'obiezione di coscienza nei confronti dell'aborto,
della guerra, dell'eutanasia.