Il Papa prega per l'Anno della Fede: per annunciare Gesù con gioia non servono specialisti
Nell’Anno della Fede, i cristiani “possano approfondire la conoscenza del mistero
di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in Lui”. È l’auspicio che Benedetto
XVI affida alla preghiera della Chiesa nella sua intenzione generale per il mese di
gennaio. In questi ultimi mesi, soprattutto nelle udienze generali, il Papa sta sviluppando
una riflessione specifica sull’Anno della Fede e sulle responsabilità che esso comporta
per i cristiani. In questo servizio, Alessandro De Carolis ne sottolinea alcuni
passaggi:
Andare in battaglia
in chiara situazione di svantaggio non è cosa che faccia stare tranquillo né un generale,
né l’ultimo dei fanti. A meno che non si sappia di poter contare su un alleato di
schiacciante superiorità. L’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI circa tre
mesi fa contiene per chi crede lo spirito di questa sfida: un combattimento in condizioni
di ambiente sempre più spesso ostile – dunque con le difficoltà, e anche i timori,
indotti dall’inferiorità numerica – ma con la certezza che chi combatte di fianco
ha la forza dell’onnipotenza. Non per niente, nell’aprire l’Anno della Fede, Benedetto
XVI ha spinto i cristiani nei “deserti del mondo contemporaneo”, laddove cioè la terra
della fede mostra le crepe della siccità anche tra i battezzati:
“Il cristiano
oggi spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del
Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza
chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo
(...) Dobbiamo, invece, tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire
il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze
e nella nostra vita quotidiana”. (Udienza generale, 17 ottobre 2012) Spesso
la fede, affermava il Pontefice, “è vissuta in modo passivo e privato” e questa remissività
è alla base della “frattura” che esiste “tra fede e vita”. Eppure, aveva ribadito
di recente Benedetto XVI, per rendere efficace l’annuncio di Gesù agli altri non c’è
mai stato bisogno del piedistallo di una cattedra:
“L’evangelizzazione,
infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell’intero Popolo di Dio, sotto la
guida di Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile
dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo”. (Discorso Congregazione per i vescovi,
20 settembre 2012)
Nell’intenzione di preghiera, inoltre, il Papa utilizza
una parola che spesso passa inosservata, o viene considerata una sorta di “guarnizione”
estetica al concetto dell’evangelizzazione, ovvero il fatto di testimoniare con “gioia”.
Per far breccia nei muri di indifferenza verso Dio, ebbe a dire Benedetto XVI, c’è
bisogno di cristiani “entusiasti della propria fede”. Un entusiasmo, però, tutt’altro
che ingenuo:
“La gioia cristiana scaturisce pertanto da questa certezza:
Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella
malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella
stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che
a Dio si affida e in Lui confida”. (Angelus, 16 dicembre 2007) Chiarito il
contesto della sfida – e la natura della fiducia da portare nel cuore – Benedetto
XVI enumera le armi con cui combatterla:
“Non bastone, né sacca, né pane,
né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione
– ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico
Vaticano II sono luminosa espressione”. (Apertura Anno della Fede, 11 ottobre
2012)