A New Delhi il processo al “branco”. Assam: deputato rischia linciaggio per stupro
In India continuano manifestazioni e proteste contro i casi di violenza sessuale.
Ieri, in un villaggio dello Stato di Assam, un deputato del partito del Congresso
ha rischiato il linciaggio perché sospettato di stupro, a salvarlo l’intervento della
polizia che lo ha arrestato. E nel Kerala un tribunale ha condannato a morte un conduttore
di un risciò per la violenza e l'uccisione di una quindicenne, lo scorso anno. Intanto
è iniziata ieri la prima fase del processo a carico del ''branco'' accusato del brutale
stupro della studentessa di 23 anni, morta una settimana fa dopo 13 giorni di agonia.
Maria Grazia Coggiola:
A distanza di
soli 18 giorni dalla brutale violenza commessa contro una studentessa di 23 anni,
la polizia di New Delhi ha presentato le prove che inchiodano cinque giovani per omicidio,
stupro di gruppo e sequestro di persona. E' la prima tappa del processo che iniziera'
la prossima settimana presso un tribunale speciale appena creato nel quartiere di
Saket, nel sud della capitale indiana e dedicato ai reati sessuali. Gli imputati citati
dagli investigatori sono il conducente dell'autobus dove e' avvenuta la violenza,
suo fratello e tre amici. Un sesto stupratore e' 17enne e sara' quindi giudicato
da un tribunale minorile. E' stata chiesta la massima pena prevista dal codice penale
indiano per questi reati, ovvero la condanna a morte invocata anche dalla stessa famiglia
della vittima e da parte dell'opinione pubblica. Le prove sono contenute in voluminoso
fascicolo dove tra l'altro c'e' anche una testimonianza della ragazza prima di morire
in cui racconta quella orribile sera del 16 dicembre. Gli imputati non erano presenti
all'udienza preliminare di ieri per ragioni di sicurezza e secondo la stampa indiana
non parteciperanno al dibattimento a porte chiuse che si prevede duri un mese.
Sulla
questione degli stupri in India alcuni avanzano l’ipotesi di una correlazione tra
queste violenze e la tradizione culturale del Paese. A questo si oppone il giornalista
e antropologo Alessandro Cisilin, intervistato da Fabio Colagrande:
R. – Naturalmente,
il fenomeno è gravissimo: stiamo parlando di 25mila casi registrati soltanto nell’ultimo
anno, con un incremento dell’800 per cento rispetto a 40 anni fa, e sono dati che
probabilmente sottostimano il fenomeno. Detto questo, personalmente rifiuto di voler
ascrivere il fenomeno alla tradizione culturale indiana. I dati che arrivano in questi
giorni rivelano un contesto non legato alla tradizione ma, anzi, un contesto che si
è allontanato dalla cosiddetta tradizione culturale rurale indiana. La maggior parte
delle violenze sessuali avviene nel Nord del Paese, soprattutto in ambito urbano e
soprattutto nell’ambito della cosiddetta middle class che, appunto, si è distaccata
rispetto alla tradizione culturale rurale dove le violenze in generale sono nettamente
in numero inferiore. Questo dice che forse non è colpa della tradizione culturale
indiana, anzi, forse è vero esattamente il contrario, che ciò che maggiormente si
è allontanato da quella tradizione ha una capacità di violenza superiore.
D.
– Si può parlare di una società che sta attraversando un momento di passaggio, proprio
a causa del boom economico al quale forse però alcune dimensioni culturali e sociali
faticano ad adeguarsi? R. – Senz’altro è un problema legato proprio ad un passaggio
culturale di alcuni ceti, questo è assolutamente vero. Se proprio vogliamo trovare
un legame con la tradizione locale, si ipotizzava per esempio un legame con l’antica
tradizione della “sati”: ecco, questo è l’unico legame possibile con la tradizione
indiana. La “sati” è la pratica della vedova che si immolava sul rogo del marito –
oggi, almeno ufficialmente, è abolita – perché la donna veniva considerata impura
nel momento stesso in cui veniva a cessare il suo legame familiare, a causa della
morte del marito. C’era quindi un’auto-immolazione, che in realtà spesso era un’immolazione
coatta. Però, anche questo non inficia quanto detto in precedenza, in quanto questa
pratica era limitatissima ad una certa cerchia di persone, essenzialmente alle caste
sacerdotali che in India hanno largamente un significato sociale di laicità, perché
formano famiglia. Man mano che si scende nella gerarchia, che si va nelle caste più
basse, va a svanire il cosiddetto tabù della cosiddetta monogamia estesa a vita, cioè:
se sei alla seconda relazione sei una persona impura e come tale sei oggetto di potenziale
discriminazione e violenza. E quelle caste alte sono proprio quelle che sono responsabili
di larga parte delle violenze sessuali di cui leggiamo in questi giorni. D. –
Sull’onda di questa grande rabbia popolare, di questa indignazione, in un momento
di forte emotività, sembra che in India si stia andando verso l’approvazione di una
legge particolare: per i casi di stupro si parla anche dell’introduzione della pena
di morte …
R. – E questo è un segno negativo, un segno della barbarie che contraddistingue
quegli stessi ceti all’interno dei quali covano queste pulsioni violente. In realtà,
le norme contro la violenza sessuale – senza arrivare alla pena di morte – esistono
già. Sicuramente c’è un problema – ed è un problema esteso – che riguarda la prassi
e, per esempio, anche il fatto che larga parte dei casi di violenza sessuale risultano
– ai fini giudiziari – impuniti. D. – C’è il rischio che la grande attenzione
riservata a questo caso, anche in Occidente non porti, in realtà, a vere conseguenze
concrete che aiutino le giovani donne in quel Paese, che possano metterle al sicuro
da queste violenze? R. – Per quanto mi riguarda, non credo questo. E mi fa un
po’ arrabbiare un certo tipo di semplificazione che si fa: che esista una ‘cultura
dello stupro’ nella tradizione indiana, cosa che è assolutamente, assolutamente, falsa!
Mi preoccupa il fenomeno per quanto riguarda l’ennesima etichettatura coloniale e
post-coloniale dell’India. Per quanto riguarda però la mobilitazione in tal senso
in India, questo secondo me è solamente un fatto positivo, perché c’è una presa d’atto
e una sensibilizzazione e una capacità di mobilitazione che – questa sì – è propria
della cultura indiana che non può che portare del bene.