Spread Btp-Bund tedeschi sotto la ‘soglia Monti’: Borse europee e Wall Street in
neto rialzo dopo l’accordo sul fiscal cliff
Dopo una giornata positiva per Wall Street e le Borse europee, avviata dall’accordo
che negli Stati Uniti ha scongiurato il cosiddetto fiscal cliff, ieri è stata la giornata
con il più basso spread tra Btp italiani e Bund tedeschi. La prima seduta del 2013
ha segnato 283 punti base col tasso sul decennale al 4,27%, sotto la cosiddetta ‘soglia
Monti’, l’obiettivo fissato dal premier tecnico di quota 287, cioè la metà di quei
574 punti ereditati dal governo Berlusconi a novembre 2011. ma per gli Stati Uniti
che hanno scongiurato il tracollo fiscale possibile il 2 gennaio, restano altri appuntamenti
decisivi. Il servizio di Fausta Speranza:
Obama ha vinto
il braccio di ferro di mesi con i repubblicani. La Camera dei Rappresentanti, all'ultimo
istante utile, ha varato in via definitiva l'accordo per evitare l'aumento automatico
e indiscriminato delle tasse e dei tagli alla spesa pubblica. In sostanza pagheranno
di più i più ricchi d'America, anche se non nella misura in cui Obama avrebbe voluto,
mentre si confermano tutti gli sgravi fiscali per le famiglie della middle class.
Più che positiva la reazione di Wall Street: indici di Borsa ai massimi livelli da
tre mesi a questa parte. C’è da dire che il Fondo monetario frena gli entusiasmi giudicando
insufficiente l'intesa. Certo, si tratta di un accordo parziale, che non affronta
il nodo dei tagli alla spesa pubblica, che sarà oggetto di un nuovo negoziato da qui
alla fine di febbraio. Ma da risolvere c'e' soprattutto il problema del debito pubblico,
che ha sforato il limite legale dei 16.400 miliardi di dollari e per il quale ora
bisognerà fissare un nuovo tetto entro febbraio, se gli Stati Uniti non vogliono rischiare
il default. Le misure straordinarie varate dal Tesoro americano per far fronte alla
situazione avranno un effetto per non più di due mesi.
Nell’intervista di Benedetta
Capelli, Stefano Manzocchi, docente di economia internazionale alla Luiss
di Roma, ci parla di questa America che cambia:
R. - Sostanzialmente
l’unica vera misura che è stata approvata è questo aumento delle tasse per chi guadagna
oltre 400-450 mila dollari l’anno, per il resto è tutto rimandato fra due mesi, per
quanto riguarda i tagli fiscali. Che le borse abbiano reagito positivamente è naturale
perché l’ipotesi alternativa per il fallimento dell’accordo avrebbe causato un forte
rischio di contrazione per l’economia americana. Per l’economia europea, da una parte
è un messaggio incoraggiante perché vuol dire che gli Stati Uniti hanno recuperato
capacità di leadership e di ripresa economica; dall’altra parte dovrebbe farci riflettere,
invece, su certe incapacità europee di cogliere le occasioni per andare avanti con
progresso negli accordi.
D. – A livello politico, entrambi gli schieramenti
hanno visto delle divisioni al loro interno. Questo sul negoziato futuro riguardante
i tagli alla spesa quanto potrà pesare?
R. – Certamente Obama dovrà contrattare
sui tagli alla spesa perché c’è un’anima del partito che vorrebbe aumentare, invece,
la spesa pubblica per l’assistenza, per l’assicurazione contro la disoccupazione,
per la spesa in infrastrutture. Lui dovrà fare i conti con tutte queste cose. Ma,
il campo repubblicano è molto più seriamente diviso, perché viene da una sconfitta
sonora alle ultime elezioni e poi perché è diviso fra un’anima radicale che vorrebbe
tagliare le tasse anche ai ricchi e tagliare la spesa pubblica a vantaggio dei poveri;
e tra quella più moderata che vorrebbe una politica con una minore presenza dello
Stato, ma in maniera non così radicale. Queste due anime, oggi, sembrano davvero inconciliabili.
D.
– Quanto sono realistici, ad esempio, i tagli al budget del Pentagono?
R. –
Bisogna capire anche quello che sta davvero succedendo dentro la società americana:
il presidente Bush è stato di fatto, alla fine, accusato da tutti gli elettori - che
poi hanno votato Obama - di avere speso, sperperato risorse enormi per le guerre che
ha fatto; il presidente Obama si è impegnato e sta, da questo punto di vista, riducendo
quel tipo di spesa – quella militare – e dall’altra parte si sta concentrando sul
fronte interno, ovvero, sulla disoccupazione, lotta alla povertà… Naturalmente, gli
equilibri andranno trovati, però questa idea di concentrare le risorse sul benessere
dei cittadini, credo che sarà la bussola che verrà seguita quando si troverà l’accordo
definitivo.
D. – Le misure contenute nel Fiscal Cliff, cosa ci dicono dei cambiamenti
interni alla società americana?
R. – C’è un disegno complessivo di cui fanno
parte le misure. Non dimentichiamo che da quest’anno, 2013, partirà la riforma sanitaria
di Obama, un’enorme svolta per la tutela della salute di tutti i cittadini. Poi c'è
l’assegno di sussidio di disoccupazione ma anche il cosiddetto “welfare to work”,
cioè la capacità di reinserire i lavoratori espulsi nel sistema produttivo. Ci sono
anche le spese per le piccole e medie imprese che verranno aumentate da questa amministrazione
per la ricerca e l’innovazione. Questo significa un’attenzione sia alle parti più
dinamiche della società – giovani, piccole imprese ed innovazione - sia alle parti
più deboli – sanità e disoccupazione – e tutto ciò sarà finanziato da un aumento delle
tasse su chi guadagna molto. C’è un’idea di America dove i più forti, i più meritevoli,
potevano comunque contribuire meno al benessere di chi invece è più debole ed Obama
sta, in qualche modo, agendo molto fortemente per correggere questa cosa. Naturalmente,
qui incontra le resistenze repubblicane, ma i repubblicani si rendono conto – probabilmente
i più moderati – che l’America è cambiata e questo spacca quel partito.