"Partner" o "padre"? I braccialetti dell'ospedale di Padova accendono il dibattito
Si accende il dibattito in Italia dopo la notizia secondo la quale la clinica universitaria
di Padova avrebbe sostituito la dicitura “padre” con quella di “partner” o “jolly”
su uno dei braccialetti che si danno ai genitori dei bimbi nati nel reparto di ostetricia.
La prassi sarebbe in uso da diversi mesi, da quando cioè nella struttura si è presentata
una coppia di donne omosessuali, che erano ricorse alla fecondazione eterologa. La
clinica conferma l’esistenza del braccialetto, ma denuncia una “mistificazione” e
una “strumentalizzazione” del caso da parte della stampa: “il braccialetto – spiega
la dott.ssa Maria Teresa Gervasi, direttore dell’unità operativa di Ostetricia –
ha come unico scopo la sicurezza del neonato: il riconoscimento dei diritti civili
non spetta a noi”. Critico il Movimento per la Vita: al microfono di Paolo Ondarza
sentiamo Ubaldo Camilotti, ex presidente della sezione di Padova:
R. – E’ un’iniziativa
errata, perché, di fatto, apre la strada ad aspettative e diritti che non esistono.
Un conto è garantire alla mamma, in questo caso, di essere assistita da una persona
a lei cara, superando quelle barriere che a volte la privacy, ingiustamente impone.
Anche per me a volte è stato difficile avvicinare amici ammalati, perché non ero loro
parente. Un conto è modificare quello che, secondo me, è un fatto fondamentale. Qui
non si parla di moglie e marito, si parla di madre e padre. Se non c’è il padre -
prendiamo atto che tanti figli purtroppo non conoscono il padre - l’importante è che
il bambino sia riconosciuto dalla mamma. Esistono tanti casi di questo tipo. Certo,
sarebbe meglio che ci fosse sempre un riconoscimento anche da parte del padre, ma
se questo non c’è non toglie in alcun modo dignità al bambino.
D. – Al centro
della questione non è stato posto il problema della dignità del bambino, ma forse
la paura di urtare la sensibilità di qualcuno...
R. – Esattamente. Intuisco
che questa è proprio un’iniziativa che punta a riconoscere agli omosessuali certi
diritti, che per le loro attitudini sessuali non hanno. Io mi sono battuto, e noi
come Movimento per la Vita ci battiamo continuamente, perché a tutti, indipendentemente
dalle loro attitudini o abitudini sessuali, sia riconosciuta la patente di dignità
umana. Tutti siamo uomini o donne di serie A. Pretendere che per le nostre abitudini
o attitudini sessuali ne nascano dei diritti, questo è sbagliato, perché le attitudini
sessuali non hanno una rilevanza sociale. Così è per l’attitudine ad accompagnarsi
nella propria vita con compagni di studio o di ricerca o accompagnarsi per motivi
religiosi: non hanno rilevanza sociale, da queste attitudini non derivano di diritti.
Fra l’altro, in tutta questa polemica ci si dimentica del bambino. Bisogna invece
pensare a lui. Io mi auguro che la sua famiglia, sua mamma in particolare, i suoi
amici, i suoi nonni e, semmai un giorno lo saprà, suo padre, le rendano una vita degna,
di questa dignità che è in lei innata. Tutto il resto ha una rilevanza secondaria.