Delhi: al via il processo contro i responsabili dello stupro e della morte di una
giovane indiana
E’ iniziato ieri in India, in un tribunale speciale di New Delhi, il processo per
direttissima al gruppo di stupratori della studentessa 23enne, morta in ospedale il
28 dicembre scorso in seguito alle gravissime ferite riportate durante l’aggressione.
Alla sbarra cinque uomini, che ieri sono stati accusati formalmente di omicidio e
stupro: rischiano la pena di morte. Un sesto stupratore, 17enne, sarà invece giudicato
dal tribunale dei minori. Il padre della ragazza chiede l’impiccagione dei colpevoli
e il varo di leggi speciali contro gli autori di crimini sessuali. Intanto, è sempre
acceso il dibattito sul dilagante fenomeno degli stupri in India: alcuni avanzano
l’ipotesi di una correlazione tra queste violenze e la tradizione culturale indiana.
A questo si oppone il giornalista e antropologo Alessandro Cisilin, intervistato
da Fabio Colagrande:
R. – Naturalmente,
il fenomeno è gravissimo: stiamo parlando di 25mila casi registrati soltanto nell’ultimo
anno, con un incremento dell’800 per cento rispetto a 40 anni fa, e sono dati che
probabilmente sottostimano il fenomeno. Detto questo, personalmente rifiuto di voler
ascrivere il fenomeno alla tradizione culturale indiana. I dati che arrivano in questi
giorni rivelano un contesto non legato alla tradizione ma, anzi, un contesto che si
è allontanato dalla cosiddetta tradizione culturale rurale indiana. La maggior parte
delle violenze sessuali avviene nel Nord del Paese, soprattutto in ambito urbano e
soprattutto nell’ambito della cosiddetta middle class che, appunto, si è distaccata
rispetto alla tradizione culturale rurale dove le violenze in generale sono nettamente
in numero inferiore. Questo dice che forse non è colpa della tradizione culturale
indiana, anzi, forse è vero esattamente il contrario, che ciò che maggiormente si
è allontanato da quella tradizione ha una capacità di violenza superiore.
D.
– Si può parlare di una società che sta attraversando un momento di passaggio, proprio
a causa del boom economico al quale forse però alcune dimensioni culturali e sociali
faticano ad adeguarsi?
R. – Senz’altro è un problema legato proprio ad un passaggio
culturale di alcuni ceti, questo è assolutamente vero. Se proprio vogliamo trovare
un legame con la tradizione locale, si ipotizzava per esempio un legame con l’antica
tradizione della “sati”: ecco, questo è l’unico legame possibile con la tradizione
indiana. La “sati” è la pratica della vedova che si immolava sul rogo del marito –
oggi, almeno ufficialmente, è abolita – perché la donna veniva considerata impura
nel momento stesso in cui veniva a cessare il suo legame familiare, a causa della
morte del marito. C’era quindi un’auto-immolazione, che in realtà spesso era un’immolazione
coatta. Però, anche questo non inficia quanto detto in precedenza, in quanto questa
pratica era limitatissima ad una certa cerchia di persone, essenzialmente alle caste
sacerdotali che in India hanno largamente un significato sociale di laicità, perché
formano famiglia. Man mano che si scende nella gerarchia, che si va nelle caste più
basse, va a svanire il cosiddetto tabù della cosiddetta monogamia estesa a vita, cioè:
se sei alla seconda relazione sei una persona impura e come tale sei oggetto di potenziale
discriminazione e violenza. E quelle caste alte sono proprio quelle che sono responsabili
di larga parte delle violenze sessuali di cui leggiamo in questi giorni.
D.
– Sull’onda di questa grande rabbia popolare, di questa indignazione, in un momento
di forte emotività, sembra che in India si stia andando verso l’approvazione di una
legge particolare: per i casi di stupro si parla anche dell’introduzione della pena
di morte …
R. – E questo è un segno negativo, un segno della barbarie che contraddistingue
quegli stessi ceti all’interno dei quali covano queste pulsioni violente. In realtà,
le norme contro la violenza sessuale – senza arrivare alla pena di morte – esistono
già. Sicuramente c’è un problema – ed è un problema esteso – che riguarda la prassi
e, per esempio, anche il fatto che larga parte dei casi di violenza sessuale risultano
– ai fini giudiziari – impuniti.
D. – C’è il rischio che la grande attenzione
riservata a questo caso, anche in Occidente non porti, in realtà, a vere conseguenze
concrete che aiutino le giovani donne in quel Paese, che possano metterle al sicuro
da queste violenze?
R. – Per quanto mi riguarda, non credo questo. E mi fa
un po’ arrabbiare un certo tipo di semplificazione che si fa: che esista una ‘cultura
dello stupro’ nella tradizione indiana, cosa che è assolutamente, assolutamente, falsa!
Mi preoccupa il fenomeno per quanto riguarda l’ennesima etichettatura coloniale e
post-coloniale dell’India. Per quanto riguarda però la mobilitazione in tal senso
in India, questo secondo me è solamente un fatto positivo, perché c’è una presa d’atto
e una sensibilizzazione e una capacità di mobilitazione che – questa sì – è propria
della cultura indiana che non può che portare del bene.