Stupri in India. Mons. Machado: nelle famiglie manca educazione al rispetto della
vita
Un nuovo stupro riaccende l'indignazione in India per i frequenti casi di aggressione
sessuale contro le donne. L'ultima vittima è una studentessa 17enne aggredita ad
un veglione di Capodanno a Nuova Delhi. Due settimane fa il violento stupro di una
studentessa di medicina di 23 anni a Nuova Delhi, che ha provocato ampie manifestazioni
di protesta con la richiesta di leggi più severe. La ragazza è poi morta per le ferite
subite ed è stata proposta una futura legge contro la violenza sessuale che porti
il suo nome. La notizia di ieri è che i difensori degli accusati dovranno essere nominati
d’ufficio, perché nessuno dei 2.500 legali iscritti alla Corte distrettuale di Saket
ha accettato di tutelarli. Nel frattempo, prende corpo la possibilità di una legge
che condanni a morte gli autori di violenze contro le donne. Sulla questione interviene
il vescovo di Vasai, mons. Felix Machado, che al microfono di Fabio Colagrande
rileva un deficit di rispetto della vita umana all’interno della società indiana in
generale:
R. - Questo
caso è stato molto sfruttato dai media. Non voglio sottovalutare la gravità del caso,
ma vorrei dire, che ci sono molti casi di questo tipo. I media hanno fatto una pubblicità
molto grande a questa vicenda. È anche giusto fare attenzione: queste cose non sono
giuste, ma ci sono tanti casi come questo. Cito l’esempio di un caso accaduto a Bombay,
dove un ragazzo cattolico, che ha difeso delle ragazze che sono state violentate da
altri ragazzi, è stato ucciso, ma non è stato fatto nulla. La vicenda è stata subito
dimenticata. Adesso il caso è diventato così pieno di emozioni che temo che senza
ragione faremo delle leggi che andranno veramente contro la morale e contro l’insegnamento
della Chiesa. Adesso, per reazione si vuole fare una legge che condanni a morte coloro
che commettono reati di questo genere. Credo che ciò sia grave, perché la pena di
morte è già praticata in India. Sappiamo che più di un mese fa è stata inflitta al
pakistano arrestato dai poliziotti per l’attacco terroristico a Bombay del 26 novembre
di quattro anni fa. Adesso, questa pena di morte sarà applicata anche per questi casi
di violenza contro le donne, le ragazze.
D. - Perché tutte queste violenze
sulle giovani donne?
R. - In India, i poliziotti sono proporzionalmente pochi
rispetto alla grande popolazione indiana. Poi ci sono i gangster, ci sono i ragazzi
dei ricchi - protetti molte volte dai politici - che commettono dei reati senza poi
essere puniti in nessun modo. Tutte queste cose moltiplicano vicende di questo tipo.
D.
- Lei non pensa che in India serva una maggiore educazione per quanto riguarda la
tutela della donna e dei suoi diritti?
R. - Assolutamente. Iniziamo con la
famiglia indiana, che è oggi è influenzata dalla globalizzazione, dove i ragazzi non
hanno un’educazione ai valori e all’etica. Il mondo è diventato troppo orientato al
consumismo e al relativismo morale. E in questo caso, mi sembra che la colpa non sia
solamente di colui che commette la violenza, ma è anche di una società che molte volte
sottovaluta la vita della donna, della ragazza. Ma non tutta l’India è così.
D.
- La Chiesa cattolica è impegnata in India per far sì che questa mentalità, questi
comportamenti sociali siano combattuti?
R. - Assolutamente. La Chiesa ha sempre
parlato contro i nemici della vita e io credo che adesso la gente debba ammettere
quanto la Chiesa abbia ragione quando prende posizioni in favore della vita.
Negli
ultimi giorni da più fonti è stata avanzata l’ipotesi di una correlazione tra gli
stupri e la tradizione culturale indiana. A questo si oppone il giornalista e antropologo
AlessandroCisilin, intervistato da FabioColagrande:
R. – Naturalmente,
il fenomeno è gravissimo: stiamo parlando di 25mila casi registrati soltanto nell’ultimo
anno, con un incremento dell’800 per cento rispetto a 40 anni fa, e sono dati che
probabilmente sottostimano il fenomeno. Detto questo, personalmente rifiuto di voler
ascrivere il fenomeno alla tradizione culturale indiana. I dati che arrivano in questi
giorni rivelano un contesto non legato alla tradizione ma, anzi, un contesto che più
si è allontanato dalla cosiddetta tradizione culturale rurale indiana. La maggior
parte delle violenze sessuali avviene nel Nord del Paese, soprattutto in ambito urbano
e soprattutto nell’ambito della cosiddetta middle class che, appunto, si è distaccata
rispetto alla tradizione culturale rurale dove le violenze in generale sono nettamente
in numero inferiore. Questo dice che forse non è colpa della tradizione culturale
indiana, anzi, forse è vero esattamente il contrario, che ciò che maggiormente si
è allontanato da quella tradizione ha una capacità di violenza addirittura superiore.
D.
– Si può parlare di una società che sta attraversando un momento di passaggio, proprio
a causa del boom economico al quale forse però alcune dimensioni culturali e sociali
faticano ad adeguarsi?
R. – Senz’altro è un problema legato proprio ad un passaggio
culturale di alcuni ceti, questo è assolutamente vero. Se proprio vogliamo trovare
un legame con la tradizione locale, si ipotizzava per esempio un legame con l’antica
tradizione della “sati”: ecco, questo è l’unico legame possibile con la tradizione
indiana. La “sati” è la pratica della vedova che si immolava sul rogo del marito –
oggi, almeno ufficialmente, è abolita – perché la donna veniva considerata impura
nel momento stesso in cui veniva a cessare il suo legame familiare, a causa della
morte del marito. C’era quindi un’auto-immolazione, che in realtà spesso era un’immolazione
coatta. Però, anche questo non inficia quanto detto in precedenza, in quanto questa
pratica era limitatissima ad una certa cerchia di persone, essenzialmente alle caste
sacerdotali che in India hanno largamente un significato sociale di laicità, perché
formano famiglia. Man mano che si scende nella gerarchia, che si va nelle caste più
basse, va a svanire il cosiddetto tabù della cosiddetta monogamia estesa a vita, cioè:
se sei alla seconda relazione sei una persona impura e come tale sei oggetto di potenziale
discriminazione e violenza. E quelle caste alte sono proprio quelle che sono responsabili
di larga parte delle violenze sessuali di cui leggiamo in questi giorni.
D.
– Sull’onda di questa grande rabbia popolare, di questa indignazione, in un momento
di forte emotività, sembra che in India si stia andando verso l’approvazione di una
legge particolare: per i casi di stupro si parla anche dell’introduzione della pena
di morte …
R. – E questo è un segno negativo, uno segno della barbarie che
contraddistingue quegli stessi ceti all’interno dei quali covano queste pulsioni violente.
In realtà, le norme contro la violenza sessuale – senza arrivare alla pena di morte
– esistono già. Sicuramente c’è un problema – ed è un problema esteso – che riguarda
la prassi e, per esempio, anche il fatto che larga parte dei casi di violenza sessuale
risultano – ai fini giudiziari – impuniti.
D. – C’è il rischio che la grande
attenzione riservata a questo caso, anche in Occidente non porti, in realtà, a vere
conseguenze concrete che aiutino le giovani donne in quel Paese, che possano metterle
al sicuro da queste violenze?
R. – Per quanto mi riguarda, non credo questo.
E mi fa un po’ arrabbiare un certo tipo di semplificazione che si fa: che esista una
‘cultura dello stupro’ nella tradizione indiana, cosa che è assolutamente, assolutamente,
falsa! Mi preoccupa il fenomeno per quanto riguarda l’ennesima etichettatura coloniale
e post-coloniale dell’India. Per quanto riguarda però la mobilitazione in tal senso
in India, questo secondo me è solamente un fatto positivo, perché c’è una presa d’atto
e una sensibilizzazione e una capacità di mobilitazione che – questa sì – è propria
della cultura indiana che non può che portare del bene.