Guerra in Siria. Mons. Pelvi dalla Terra Santa: fermare le armi, dare speranza alla
pace
Sono passati più di 21 mesi dall’inizio della guerra in Siria, costata la vita finora
ad oltre 45 mila persone. Ieri, il ritrovamento a Damasco di 30 cadaveri sfigurati.
Tra le vittime del conflitto anche molti cristiani. L’ultimo - riferisce una suora
carmelitana missionaria in Siria - è un tassista di 38 anni decapitato da estremisti
islamici. Sul versante politico, intanto, il primo ministro siriano ha dichiarato
che il governo è pronto a rispondere a qualsiasi iniziativa che risolva la crisi attraverso
il dialogo. Un appello per la pace in Siria viene anche dalla Terra Santa, dove sono
in pellegrinaggio i militari italiani accompagnati dall’arcivescovo Vincenzo Pelvi,
ordinario militare per l’Italia. Il nostro inviato Luca Collodi lo ha intervistato:
R. - Siamo particolarmente
sconvolti da quanto accade in Siria. Si fermino le armi, e si apra la via diplomatica!
Una guerra civile che - mi pare - non solo uccide la pace, ma sta uccidendo l’uomo.
E poi un appello non solo perché si concluda la guerra al più presto, ma perché si
pensi anche alle piccole comunità cristiane presenti in quel martoriato territorio.
Tanti credenti soffrono non solo per la guerra e per la mancanza di dignità umana,
ma anche per una forma di indifferenza. Noi, famiglia cristiana nel mondo, dobbiamo
essere solleciti nel far arrivare messaggi e gesti concreti di attenzione che mettano
in circolo la fiducia.
D. - Oltre mezzo milione di profughi siriani sta andando
in Libano, in Giordania, ma anche in Turchia. Perché la comunità internazionale sembra
assente dall’aiuto a queste persone?
R. - Queste emergenza umanitaria, che
viene fuori da una situazione di conflitto violento, non può essere trascurata perché
popoli come il Libano, la Giordania, la Turchia devono avvertire il sostegno della
Comunità internazionale. È ammirevole che popoli così in difficoltà per tante dinamiche
interne, - popoli del Medio Oriente - si facciano samaritani di popoli vicini. Ecco
quello che a volte non notiamo nel nostro mondo occidentale, dove non riusciamo ad
accogliere un numero esiguo di profughi, e in tanti momenti della storia dei nostri
giorni non siamo, generosi nella carità verso fratelli in difficoltà. Ci sarà una
ricaduta indiretta di maturazione nella carità e di testimonianza di Vangelo, se noi,
più che pensare alla sicurezza, progetteremo l’accoglienza.