Siria: voci sull'asilo politico di Assad in Venezuela, la Russia invita l'opposizione
a nuovi colloqui di pace
La sorte del presidente siriano Assad al centro delle discussioni internazionali.
Mentre avanza l’ipotesi di un asilo politico in Venezuela, l’opposizione chiede che
il capo dello Stato lasci il Paese. Proprio al fronte degli insorti è giunto l’invito
della Russia a partecipare a negoziati di pace. Dinanzi al crescente numero di vittime
– 45 mila secondo un ultimo bilancio – il mediatore Onu e Lega Araba, Brahimi, chiede
una soluzione “reale e non di facciata”. Il servizio di Marina Calculli:
Non è ancora
trapelata alcuna notizia dai colloqui che Mosca ha convocato per cercare una soluzione
alla guerra civile siriana. Il ministro degli esteri russo Lavrov ha però ammonito:
“senza negoziato il conflitto continuerà a lungo”. La Russia ha invitato anche l’opposizione
a sedersi a un tavolo di trattative. L’emissario internazionale per la Siria Lakhdar
Brahimi ha invitato a formare un governo di unità nazionale prima di indire nuove
elezioni, l’unica soluzione perché – secondo il diplomatico algerino – la fine del
conflitto, che dura ormai da 21 mesi sia reale. Brahimi ha poi rispolverato il piano
di transizione che il gruppo d’azione sulla Siria aveva adottato il 30 giugno scorso
sotto l’egida dell’ONU. Parigi però avverte: Nel governo transitorio non dovrà esserci
alcun membro della famiglia Assad. La condizione è che il raìs lasci al più presto
il paese. Secondo alcune indiscrezioni, inoltre, Assad avrebbe già chiesto asilo al
presidente venezuelano Hugo Chavez. Sul terreno però i combattimenti non si arrestano.
Damasco e Aleppo sono al centro di una battaglia molto dura. Ad Aleppo i ribelli sono
entrati nell’aeroporto militare mentre alcuni raid si sono abbattuti sulla regione
di Idlib, a Jisr al-Chougur e Maaret al-Numan.
E a preoccupare la comunità
internazionale è anche il pericolo che nel conflitto siriano vengano usate armi chimiche.
Ieri l’argomento, secondo la stampa israeliana, è stato al centro di un incontro ad
Amman tra il re Abdullah II di Giordania e il premier israeliano, Netanyahu. Al microfono
di Fausta Speranza, sentiamo Maurizio Simoncelli, vice-presidente di
Archivio Disarmo:
R. – Bisogna
ricordare sempre che in guerra la prima vittima è la verità. Spesso, quindi, queste
informazioni che ci giungono sull’uso di determinate armi, sul massacro avvenuto o
non avvenuto, vanno sempre prese con estrema cautela: ogni informazione che ci giunge
dal teatro di guerra dobbiamo prenderla con estrema cautela. Sappiamo che le armi
chimiche sono armi relativamente facili da usare, tanto è vero che vengono chiamate
le “armi nucleari dei poveri”. Sappiamo che alcuni Paesi non hanno aderito alla Convenzione
internazionale sulle armi chimiche, tra cui mi risulta che fino a pochi anni fa non
aderissero né Israele, né la Siria. Altri Paesi hanno aderito e si sono riservati,
comunque, la possibilità di detenere queste armi nei loro arsenali: pensiamo agli
Stati Uniti, pensiamo alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Cina, all’Iran, alla
Russia. E poi sono ancora diversi gli Stati che, pur avendo aderito a questa convenzione
internazionale sulle armi chimiche, rimangono in possesso di queste armi.
D.
– Cosa vuol dire una guerra condotta con le armi chimiche?
R. – Chi viene sottoposto
all’azione di questo tipo di arma si trova a dover combattere – come dire – contro
un nemico invisibile: il gas, una pioggia, una polvere che possono colpirci. L’uso
ha quindi un effetto soprattutto propagandistico: le notizie che ci sono giunte parlavano
di alcune decine di bambini colpiti e i bambini tra l’altro sono un elemento che ulteriormente
ci colpisce. Diciamo che l’arma chimica in realtà ha fatto purtroppo un massacro –
se questo è vero – come uno dei tanti che insanguina il Paese mediorientale da un
anno e mezzo: non di più né di meno. Ha però un maggiore effetto sull’immaginario
collettivo, proprio perché è un’arma che ci spaventa, che da sempre ci ha spaventato,
sin da quando è stata usata in modo massiccio nella prima guerra mondiale a Ypres
da parte dei tedeschi contro i francesi.
D. – Professore, c’è anche un piano
internazionale: concretamente Obama ha detto che l’uso di armi chimiche da parte del
regime potrebbe essere la linea discriminante per pensare un intervento …
R.
– Sì, questo il presidente Obama lo ha già detto varie volte. Questo sinceramente
mi lascia ancor più perplesso, perché è difficile pensare che l’esercito siriano di
fronte a una minaccia di un intervento internazionale - che non sappiamo in quale
misura sia o come sarebbe possibile organizzarlo - decide a questo punto di usare
queste armi che poi non sono risolutive, non sono mai state risolutive in nessun conflitto.
Le hanno usate in modo massiccio proprio gli Stati Uniti nella guerra del Vietnam
e – ricordiamo - a Falluja. Ma non sono armi che sono servite effettivamente a risolvere
il conflitto: non è l’arma totale che, se lanciata, sconfigge sicuramente il nemico.
Per cui, il fatto che ci sia una possibilità di intervento da parte della Comunità
internazionale se vengono usate queste armi e che l’esercito siriano le usi, questo
sistema così presentato mi lascia estremamente perplesso. Purtroppo molte guerre vengono
combattute non solo sul campo, ma anche nell’ambito dell’Intelligence, dell’informazione
e dei mass-media. Su questo sono estremamente cauto.