Il cardinale Sepe al pranzo di Natale con i poveri di Napoli: la ripresa inizi dagli
ultimi
Ancora una volta, rinnovando l’invito fatto sin dal suo arrivo a Napoli nel 2006,
il cardinale Crescenzio Sepe ha aperto venerdì le porte del Palazzo arcivescovile,
per offrire il pranzo di Natale a poveri e senza fissa dimora della sua città. Oltre
300 i pasti preparati dalla Caritas e serviti dall’arcivescovo, dai sacerdoti e da
numerosi volontari. Sul significato del pranzo, Paolo Ondarza ha intervistato
lo stesso cardinale Sepe:
R. - E’ un segno
della vicinanza della Chiesa ai più poveri, ai più emarginati, perché – forse, prima
del pane materiale - hanno bisogno della vicinanza della Chiesa. La Chiesa è con
loro, la Chiesa è per loro.
D. – Significativa anche la testimonianza
dei volontari…
R. – Sì, diciamo che senza di loro non si poteva far niente
e devo dire che in prima linea ci sono sempre i giovani, che hanno speso tutte le
loro energie, sia per organizzare, che per servire. Un gesto commovente e molto efficace.
D.
– Si tratta del settimo pranzo di Natale che viene organizzato da quando lei è arcivescovo
di Napoli. Come è mutata la povertà in questi anni, così segnati dalla crisi?
R.
– Oggi questa povertà si è allargata a macchia d’olio. Lo vediamo ogni giorno nelle
distribuzioni dei pasti nelle singole parrocchie: prima si distribuivano 50-60 pasti,
oggi sono arrivati a distribuirne più di 100-150. Una povertà che coinvolge anche
quelli che prima non ne erano investiti: ad esempio anche un professore di latino
e greco - essendo monoreddito - non ce la fa e chiede aiuto, partecipando anche a
questi pranzi.
D. – Cioè, i nuovi poveri partecipano a questo pranzo di Natale?
R.
– Sì, alcuni sì. Quelli che hanno più coraggio, perché altri – proprio perché non
abituati – cercano un po’ di nascondersi: c’è come un senso di vergogna o paura
di essere riconosciuti; però, molti vengono. Anche i separati, i quali - per le condizioni
di vita in cui si trovano - non riescono ad arrivare a fine mese. Anche loro fanno
parte, ormai, di questo esercito di nuovi poveri, che si allarga sempre di più.
D.
– Quanto lei dice trova riscontro nei numeri. Solo ieri Confindustria ha diffuso dei
dati: 16mila le imprese che hanno chiuso nel Mezzogiorno, particolarmente critica
la situazione in Campania…
R. – Purtroppo, la nostra regione ha il primato
ed io lo riscontro, per esempio, anche qui vicino la Cattedrale. In Via Duomo – strada
classica per i negozi –vedo con i miei occhi, quando cammino, che molti negozi ormai
non ce la fanno più e sono stati costretti a chiudere i battenti.
D. – Alla
luce di quanto detto, qual è il suo auspicio come arcivescovo di Napoli?
R.
– Intanto, non bisogna mai perdere la speranza: questo sarebbe il pericolo maggiore.
Il mio augurio è che ci sia una vera ed autentica ripresa, che non può assolutamente
prescindere da chi è più povero, da chi ha più bisogno. Se ripresa ci deve essere,
deve essere una ripresa di tutti, iniziando dai più umili e dai più bisognosi.