Le ragioni della fede nell'età secolare. Le risposte dei teologi riuniti a Roma
La fede con le sue ragioni, interpellata nell’età secolare. A cercare risposte per
tre giorni sono gli esperti convocati dall’Associazione italiana teologi (Ati). Appuntamento
a Roma, presso Villa Aurelia, per il tradizionale Corso di aggiornamento proposto
ai docenti di teologia. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. donRiccardo Battocchio, segretario nazionale dell’Ati.
R. - Viviamo
immersi in una situazione storica che possiamo chiamare secolarismo, dando però con
questo termine un’interpretazione negativa di un complesso di realtà, che forse presenta
anche aspetti da leggere in positivo. Siamo in un’epoca in cui, a detta di tanti,
la religione, la fede cristiana in particolare pare, nell’ambito del discorso pubblico,
un’opzione fra le tante. Questo interpella la responsabilità dei cristiani, di chi
riflette sulla fede, alla ricerca delle possibilità che questo offre, anzitutto del
fatto che la fede si presenta come scelta. Ora dobbiamo cercare, in questo Corso come
teologi, di riflettere sulle condizioni che rendano possibile una libera adesione
alla fede, alla Parola della Rivelazione che si propone come dotata di senso oggi
come in ogni contesto: nel contesto secolare non meno che in contesti che apparentemente
sembrino maggiormente segnati da una presenza pubblica della religione.
D.
– La fede come scelta di libertà: qual è il compito dei teologi?
R. – I teologi
non hanno il compito di dimostrare la verità della fede, quanto piuttosto quello di
cercare di mostrare le ragioni che rendono plausibile l’adesione di fede, ed una delle
strade che cerchiamo di percorrere è quella di evidenziare la corrispondenza tra la
proposta della fede, l’annuncio del Vangelo e quella attesa di libertà che vive nell’esperienza
umana originaria, consapevoli anche della fede come istanza critica nei confronti
dell’umano. Non possiamo proporre la fede senza tener conto di ciò che l’uomo è in
questo tempo, nella sua storia. E la teologia dovrebbe cercare questo dialogo con
la storia, con le condizioni in cui l’uomo si trova. Il compito dei teologi è quello
di offrire le ragioni per cui credere è oggi un atto di libertà, che non solo suppone
la libertà ma gli consente di realizzarsi nel modo più pieno.
D. – Perché modernità
e identità cristiana vengono così spesso contrapposte? E’ un luogo comune?
R.
– E’ il frutto di una storia segnata da una serie di conflitti, tra un’istanza di
autonomia che sembra essere quella caratteristica dell’epoca moderna – l’uomo che
definisce se stesso a partire da sé – e la supposta eteronomia, cioè la dipendenza
che sarebbe implicata in ogni esperienza religiosa, e nella fede cristiana in particolare,
nel dover rinunciare a qualcosa di autenticamente umano per essere un credente. In
questo caso, per la teologia, dimostrare come l'istanza di autonomia, che è propria
della modernità, non sia necessariamente contraddittoria rispetto a quella dipendenza
che è implicata nella fede, ma che è una dipendenza che corrisponde alla condizione
dell’uomo. Infatti, si tratta di una dipendenza non da un potere superiore, non da
un’entità che si impone limitando l’uomo, ma da quell’origine che fa sì che l’uomo
sia.