In Centrafrica prosegue l'avanzata dei ribelli del movimento Seleka
Non accenna a diminuire la tensione in Centrafrica, dove i ribelli del gruppo Seleka
stanno tentando di rovesciare il governo del presidente Bozizè. Il movimento ha reso
noto ieri di aver conquistato, dopo un intenso scontro armato, la città di Bambari,
uno dei principali centri del Paese. Il vescovo della città, mons. Edouard Mathos,
ha espresso forte preoccupazione per la situazione, che potrebbe infiammarsi ulteriormente.
Ma chi sono i ribelli che si oppongono al governo di Bangui? Giancarlo La Vella lo
ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dei Paesi africani all’Università
di Torino: R. - E’ una coalizione
che si è creata nell’estate scorsa quando si intravedeva qualche segnale positivo
nel Paese, perché uno dei maggiori leader antigovernativi aveva accettato di dialogare
con il governo. In realtà, in seguito a questa decisione, parti di questo movimento
non hanno accettato il dialogo con il governo e, anzi, hanno deciso di proseguire
la lotta e coalizzarsi.
D. – Come il Centrafrica, è giunto a questa crisi attuale?
R.
– Questa è una catastrofe annunciata, che affonda le radici nei primissimi mesi dell’indipendenza:
il Paese è diventato indipendente nel 1960 e da quel periodo non ha mai conosciuto
un momento di stabilità, né un buon governo. Da allora, il Paese è passato da un colpo
di Stato all’altro ed ecco che si forma questa "galassia" di movimenti, di gruppi
armati, che hanno carta bianca per il fatto che i vari governi che si sono succeduti
non hanno mai detenuto il controllo sul territorio.
D. – La Repubblica Centrafricana
entro quale influenza è?
R. – Sicuramente, l’influenza francese, che non è
mai venuta meno e che, anzi, ha inciso in modo sostanziale sulle sorti del Paese.
Io tendo sempre però a mettere l’accento sulle responsabilità interne: la devastazione
di questo Paese è frutto, prima di tutto, dell’incapacità e anche dell’impossibilità
di creare un’economia sana, di far nascere un ceto medio produttivo con tutto l’interesse
ad assicurare la stabilità e il buon governo del proprio Paese. Per dare un’idea della
situazione, da un altro punto di vista: la speranza di vita dalla nascita, in questo
Paese, è di 48 anni e più o meno metà della popolazione è analfabeta. Ci sono problemi
enormi in un Paese in queste condizioni, che è al 179.mo posto dell’indice dello sviluppo
umano, quindi, è uno dei Paesi più poveri, più arretrati con un peggioramento progressivo
della situazione verificatosi negli anni scorsi.
D. – Quindi, è più un Paese
da intervento umanitario, che da intervento diplomatico in questo momento...
R.
– Tutte e due le cose sono necessarie: quello umanitario è essenziale, vitale, con
però delle difficoltà enormi, perché perfino le vie di comunicazione e di trasporto
– al di là dell’insicurezza determinata dall’esistenza delle bande armate – sono problematici
perché mancano le strade, le ferrovie, mancano tutte le infrastrutture che rendono
possibile intervenire in termini pratici.