Ribellarsi alla dittatura dei media. Le istruzioni in un libro di Lorella Zanardo
“Senza chiedere il permesso”, il titolo del libro di Lorella Zanardo, edito
da Feltrinelli, riferito ai giovani perché reagiscono alla passività mediatica che
li ha relegati a subire modelli e stili di vita che hanno rubato loro l’anima. Già
coautrice insieme a Cesare Cantù del documentario on line “Il corpo delle donne”,
e animatrice del relativo blog, Zanardo riporta in questo saggio le esperienze raccolte
in tre anni di intensa attività di media education nelle scuole italiane. L'ha
intervistata Roberta Gisotti:
D. – Lorella
Zanardo, lei denuncia l’incapacità da parte degli adulti di consegnare almeno la speranza
di un mondo migliore, e gran parte delle colpe vengono individuate proprio nei media
…
R. – Sì, negli ultimi 20, 30 anni, attraverso i media si è imposta una sorta
di dittatura che poi si riflette nelle nostre vite, quelle di tutti i giorni. L’audience
che raggiunge una trasmissione qualsiasi di un canale Mediaset o anche della Rai,
in una sera qualsiasi, non riescono a metterla insieme i quotidiani, nemmeno tutti
insieme. Quindi è molto importante capire quanto danno stiano facendo i media. Quello
che noi proponiamo è, da una parte, chiedere urgentemente che la Rai torni ad essere
un servizio pubblico, e, dall’altra, educare i ragazzi e le ragazze ad una visione
consapevole dei media.
D. – Quali sono gli aspetti più gravi riscontrati nei
tanti incontri con i giovani che vivono in un ambiente mediatico senza in realtà conoscerlo?
R.
– Prima di tutto, bisogna ricordare che la televisione è molto guardata dai ragazzi.
Sbaglia chi dice: “i ragazzi ne guardano meno”. No, la guardano ma con modalità diverse.
Prima di tutto, i bambini ne guardano tantissima e non vanno on-line; le ragazze guardano
– per esempio – “Uomini e donne” della De Filippi, magari un quarto d’ora su YouTube,
il giorno dopo che è andato in onda. Quindi, comunque ne guardano tanta. Quello che
è più preoccupante è che si affermano degli stereotipi. Per esempio, quello che dice
la Tv è vero; quello che dice la Tv durante il telegiornale è verissimo.
Quindi, quando noi mostriamo i tanti servizi di info-tainment, dove poca è
l’informazione e molto l’intrattenimento, che vengono mandati in onda durante i telegiornali
e che, per esempio, riguardano la chirurgia estetica: noi non critichiamo ma facciamo
riflettere sui fatti ponendo delle domande. Questa è informazione? E’ giusto mandarla
durante un telegiornale? Stiamo parlando di salute? Ecco: i ragazzi, in questo modo,
iniziano a sviluppare uno spirito critico.
D. – Ma quali sono i modelli, gli
stereotipi che in questi anni hanno più danneggiato i ragazzi, i giovani?
R.
– Sicuramente, lo stereotipo della donna ridotta ad oggetto ha fatto danni per le
ragazze, ma – sorpresa!, come è risultato da questi incontri – anche per i ragazzi.
E bisogna dire subito che i ragazzini e le ragazzine non sono assolutamente dalla
parte di questa televisione che rende le ragazze ed i ragazzi oggetti; anzi, si scagliano
contro questa televisione. E da subito, nelle classi, si scagliano contro la televisione
che li oggettivizza. Non c’è mai un nudo, in televisione, che ci faccia capire che
dietro c’è una persona. Le riprese sono sempre oggettivizzanti: gambe, seni, sederi
… Tutto questo è poi traslato nella società. Quello che viene mandato in onda in televisione,
in qualche modo crea dei modelli che poi vengono pericolosamente seguiti.
D.
– Perché “Senza chiedere il permesso”?
R. – Perché chi ha voglia di crescere,
in questa società? Io, ho conservato le prime pagine dei giornali degli ultimi mesi:
ci si alza e si legge oggi la disoccupazione giovanile è al 25%, domani al 26, dopodomani
sarà al 27 … siamo al 35%. Allora perché io, a 16 anni, dovrei aver voglia di crescere
in un mondo così? Allora la mia esortazione è dire ai giovani: fate, andate, abbiate
la forza di credere che cambiare il mondo sia possibile; siate sicuri che ci sono
tanti adulti che sono con voi, che possono darvi strumenti di saggezza, di consapevolezza,
per interrompere un po’ quella catena di egoismo di cui è stata portatrice – bisogna
ammetterlo! – la mia generazione …