Il cardinale Vallini in visita al penitenziario di Rebibbia
In ricordo della visita dello scorso anno di Benedetto XVI, questa mattina il vicario
del Papa per la diocesi di Roma, cardinale Agostino Vallini ha presieduto la celebrazione
eucaristica nella Casa Circondariale del Nuovo Complesso di Rebibbia. Cosa è cambiato
dopo lo storico incontro del Papa con i detenuti? Il servizio di Davide Dionisi:
L’Italia vanta
un triste primato in Europa. E’, infatti, il paese che ha le carceri più sovraffollate,
con ben 140 detenuti ogni 100 posti disponibili. Un problema reale, tenuto conto che
poco fino ad oggi è stato fatto per migliorare le condizioni di vita degli ospiti
e per agevolare la rieducazione ed il reinserimento sociale, anche attraverso percorsi
alternativi all’Istituto di pena. Abbiamo già avuto modo di conoscere da vicino Rebibbia,
in occasione della storica visita del Santo Padre proprio un anno fa. Cosa è cambiato
nel frattempo? Lo abbiamo chiesto al Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.
R.
– E’ cambiato in peggio: sono aumentati i detenuti, gli spazi sono ancora più ristretti,
sono diminuiti i soldi e addirittura non ci sono neanche tutti i direttori che dovrebbero
dirigere carceri impegnative come ad esempio il nuovo complesso di Rebibbia.
D.
– Nell’occasione il Papa disse: “E’ importante che le istituzioni promuovano un’attenta
analisi della situazione carceraria, oggi, in modo che i detenuti non scontino mai
una doppia pena”. A che punto siamo?
R. – L’ultima notizia pesante che abbiamo
ricevuto è che il tentativo che ha fatto il ministro Severino, di portare in Parlamento
un provvedimento che in qualche modo potesse alleviare, è naufragato.
D. –
Perché queste resistenze, secondo lei?
R. – Io penso che queste resistenze
derivino da una parte da un’idea di una giustizia sempre punitiva e mai riabilitativa;
e poi, dal fatto che molti pensano che l’opinione pubblica voglia un carcere pesante
per stare più tranquilla nella propria sicurezza – che pure è un diritto – e pertanto
si cerca di rispondere a queste esigenze di opinione pubblica – sicuramente conservativa
– per venire incontro, anche per motivi elettorali, di fronte ad una situazione gravissima:
un politico deve anticipare l’opinione pubblica, non seguirla ed esserne subalterno.
D.
– Quali sono invece le luci di Rebibbia, visto che adesso abbiamo esaminato soprattutto
le ombre?
R. – Le luci non sono poche, anche se – si capisce – non risolvono
il problema. Ma le luci sono, intanto, le cooperative sociali, il lavoro che si fa
con le cooperative sociali, il lavoro interno: le istituzioni, il Comune, la Provincia,
la Regione, noi, i garanti dell’ufficio, e i volontariato sia laico sia religioso
nel far sì che si mettano in piedi notizie ed iniziative rivolte a dare lavoro, cultura,
studio, ricerca, teatro e anche a far sì che il detenuto sia trattato come una persona
che ha diritto alla sua dignità: perché la dignità è un altro di quei diritti che
sicuramente non può essere leso.
D. – Secondo lei, il carcere in Italia recupera
la persona?
R. – Così affollato, no. Il carcere in Italia – secondo me – viola
la Costituzione. La Costituzione in un suo articolo fondamentale dice: “La pena dev’essere
utile sicuramente a punire, perché è necessario anche punire per essere dissuasivi,
ma soprattutto a reinserire”. E il carcere oggi in Italia non è utile: è dannoso.
Non dà nessun contributo alla sicurezza dei cittadini.