2012-12-22 15:47:35

Centrafrica, si negozia la pace. Ashton: rispettare accordi del 2008


Diplomazia al lavoro per risolvere le tensioni in Centrafrica tra governo e i ribelli del gruppo di nuova formazione Selekà, che starebbero tentando di rovesciare il presidente Bozizè. Ieri in Chad, si è svolto il vertice dei capi di Stato dei Paesi della Comunità dell’Africa centrale, dove è stata confermata la prossima apertura di negoziati di pace in Gabon. Il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha lanciato un forte appello alle parti in conflitto, affinché cessi ogni ostilità nel rispetto degli accordi di pace del 2008. Ma chi sono i ribelli che si oppongono al governo di Bangui? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dei Paesi africani all’Università di Torino:RealAudioMP3

R. - E’ una coalizione che si è creata nell’estate scorsa quando si intravedeva qualche segnale positivo nel Paese, perché uno dei maggiori leader antigovernativi aveva accettato di dialogare con il governo. In realtà, in seguito a questa decisione, parti di questo movimento non hanno accettato il dialogo con il governo e, anzi, hanno deciso di proseguire la lotta e coalizzarsi.

D. – Come il Centrafrica, è giunto a questa crisi attuale?

R. – Questa è una catastrofe annunciata, che affonda le radici nei primissimi mesi dell’indipendenza: il Paese è diventato indipendente nel 1960 e da quel periodo non ha mai conosciuto un momento di stabilità, né un buon governo. Da allora, il Paese è passato da un colpo di Stato all’altro ed ecco che si forma questa "galassia" di movimenti, di gruppi armati, che hanno carta bianca per il fatto che i vari governi che si sono succeduti non hanno mai detenuto il controllo sul territorio.

D. – La Repubblica Centrafricana entro quale influenza è?

R. – Sicuramente, l’influenza francese, che non è mai venuta meno e che, anzi, ha inciso in modo sostanziale sulle sorti del Paese. Io tendo sempre però a mettere l’accento sulle responsabilità interne: la devastazione di questo Paese è frutto, prima di tutto, dell’incapacità e anche dell’impossibilità di creare un’economia sana, di far nascere un ceto medio produttivo con tutto l’interesse ad assicurare la stabilità e il buon governo del proprio Paese. Per dare un’idea della situazione, da un altro punto di vista: la speranza di vita dalla nascita, in questo Paese, è di 48 anni e più o meno metà della popolazione è analfabeta. Ci sono problemi enormi in un Paese in queste condizioni, che è al 179.mo posto dell’indice dello sviluppo umano, quindi, è uno dei Paesi più poveri, più arretrati con un peggioramento progressivo della situazione verificatosi negli anni scorsi.

D. – Quindi, è più un Paese da intervento umanitario, che da intervento diplomatico in questo momento...

R. – Tutte e due le cose sono necessarie: quello umanitario è essenziale, vitale, con però delle difficoltà enormi, perché perfino le vie di comunicazione e di trasporto – al di là dell’insicurezza determinata dall’esistenza delle bande armate – sono problematici perché mancano le strade, le ferrovie, mancano tutte le infrastrutture che rendono possibile intervenire in termini pratici.







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