Centrafrica, si negozia la pace. Ashton: rispettare accordi del 2008
Diplomazia al lavoro per risolvere le tensioni in Centrafrica tra governo e i ribelli
del gruppo di nuova formazione Selekà, che starebbero tentando di rovesciare il presidente
Bozizè. Ieri in Chad, si è svolto il vertice dei capi di Stato dei Paesi della Comunità
dell’Africa centrale, dove è stata confermata la prossima apertura di negoziati di
pace in Gabon. Il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha lanciato un
forte appello alle parti in conflitto, affinché cessi ogni ostilità nel rispetto degli
accordi di pace del 2008. Ma chi sono i ribelli che si oppongono al governo di Bangui?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia e istituzioni
dei Paesi africani all’Università di Torino:
R. - E’ una
coalizione che si è creata nell’estate scorsa quando si intravedeva qualche segnale
positivo nel Paese, perché uno dei maggiori leader antigovernativi aveva accettato
di dialogare con il governo. In realtà, in seguito a questa decisione, parti di questo
movimento non hanno accettato il dialogo con il governo e, anzi, hanno deciso di proseguire
la lotta e coalizzarsi.
D. – Come il Centrafrica, è giunto a questa crisi attuale?
R.
– Questa è una catastrofe annunciata, che affonda le radici nei primissimi mesi dell’indipendenza:
il Paese è diventato indipendente nel 1960 e da quel periodo non ha mai conosciuto
un momento di stabilità, né un buon governo. Da allora, il Paese è passato da un colpo
di Stato all’altro ed ecco che si forma questa "galassia" di movimenti, di gruppi
armati, che hanno carta bianca per il fatto che i vari governi che si sono succeduti
non hanno mai detenuto il controllo sul territorio.
D. – La Repubblica Centrafricana
entro quale influenza è?
R. – Sicuramente, l’influenza francese, che non è
mai venuta meno e che, anzi, ha inciso in modo sostanziale sulle sorti del Paese.
Io tendo sempre però a mettere l’accento sulle responsabilità interne: la devastazione
di questo Paese è frutto, prima di tutto, dell’incapacità e anche dell’impossibilità
di creare un’economia sana, di far nascere un ceto medio produttivo con tutto l’interesse
ad assicurare la stabilità e il buon governo del proprio Paese. Per dare un’idea della
situazione, da un altro punto di vista: la speranza di vita dalla nascita, in questo
Paese, è di 48 anni e più o meno metà della popolazione è analfabeta. Ci sono problemi
enormi in un Paese in queste condizioni, che è al 179.mo posto dell’indice dello sviluppo
umano, quindi, è uno dei Paesi più poveri, più arretrati con un peggioramento progressivo
della situazione verificatosi negli anni scorsi.
D. – Quindi, è più un Paese
da intervento umanitario, che da intervento diplomatico in questo momento...
R.
– Tutte e due le cose sono necessarie: quello umanitario è essenziale, vitale, con
però delle difficoltà enormi, perché perfino le vie di comunicazione e di trasporto
– al di là dell’insicurezza determinata dall’esistenza delle bande armate – sono problematici
perché mancano le strade, le ferrovie, mancano tutte le infrastrutture che rendono
possibile intervenire in termini pratici.