2012-12-21 15:21:47

Libano, l'impatto della crisi siriana. Parsi: attenzione al radicalismo sunnita


La crisi siriana si riflette anche in Libano dove non si allentano le tensioni, soprattutto a Tripoli, tra oppositori e sostenitori di Assad. Intanto il Paese continua ad accogliere il flusso di profughi che arriva da Damasco. Ma qual è la posizione dei cristiani nel contesto politico libanese? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Vittorio Parsi, docente di relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. - Diciamo che i cristiani hanno perso la loro lotta per l’egemonia ai tempi della guerra civile. L’omicidio di Jemaiel segna la fine dell’aspirazione maronita di costruire un Libano egemonizzato con la forza dalla maggioranza relativa o dalla minoranza allora più importante, quella cristiana. Oggi, i cristiani sono sostanzialmente la seconda minoranza del Paese. Vediamo cosa stanno facendo: hanno rinunciato a esercitare il potere in termini di prospettiva di comando e si sono limitati a una posizione di protezione. E infatti, vediamo che i cristiani sono schierati sui due fronti in cui si divide la scenario politico libanese: quello pro-sciita e quello pro-sunnita. E questa è comunque la scelta che implica anche il non poter vincere comunque.

D. - Come influsice la crisi siriana sul Libano, dato che il Libano è uno dei Paesi che sta ricevendo tra l’altro i profughi ed è uno Stato piccolo ma di grande equilibrio nell’area?

R. - Molto pesantemente, nel senso che nel Libano si condensano due elementi critici. Da un lato, c’è la progressiva crisi delle aspirazioni egemoniche iraniana sul Levante, che proprio attraverso il nodo siriano trova la prima grande débâcle dopo il successo conseguito in Iraq e quello conseguito in Afghanistan. Questo, in qualche modo, lo vediamo attraverso la difficoltà del movimento politico di Hezbollah che è legato molto più all’Iran che non alla Siria. E dall’altra parte, però, c’è l’altra fase critica che è rappresentata dal radicalismo sunnita. Non dimentichiamo che l’islam più radicale è quello sunnita, non quello sciita, e che in alcune parti per lo meno aspira a poter fare i conti con questa forte presenza sciita - che è cresciuta anche politicamente negli ultimi anni - e di tornare protagonista della vita politica. Questo lo vediamo plasticamente purtroppo rappresentato negli scontri di Tripoli in Libano, dove sciiti e sunniti libanesi hanno portato all’interno del Paese lo scontro siriano.

D. - Quando si parla di movimenti, di primavere arabe, si parla quasi esclusivamente di processo di democrazia. Quanto conta in realtà la centralità delle risorse minerarie come petrolio e gas in queste aree?

R. - Hanno una rilevanza importante per due motivi. Da un lato, in termini di attenzione degli attori esterni che continuano ad avere un interesse sul controllo di queste risorse - soprattutto per la parte che riguarda l’area del Golfo. Dall’altra, anche in termini di capacità interne di sostentamento, perché possiamo vedere che i Paesi dell’area che hanno resistito allo shock delle rivoluzioni, le hanno anticipate, le hanno bloccate sul nascere o le hanno represse, sono i Paesi produttori di petrolio o di gas: quelli cioè che avendo risorse importanti per comprare in termini tecnici il consenso della popolazione, sono riusciti a mantenere le schema di funzionamento. Invece, sono saltati in aria quei regimi che non avevano questa situazione. Certo l’eccezione è la Libia, ma va anche detto che quello che è accaduto in questo Paese è anzitutto da attribuire alla una guerra civile tra Tripolitania e Cirenaica.







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