Il Papa alla Curia Romana: nella lotta per la famiglia è in gioco l'uomo stesso
Famiglia e dialogo sono stati i due temi principali del discorso di Benedetto alla
Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi nella Sala Clementina, in
Vaticano. Molto intensa, chiara e stringente, in particolare, la riflessione sulla
famiglia. “La famiglia – ha detto - è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però,
anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle
basi”. “Nella questione della famiglia – ha proseguito - non si tratta soltanto di
una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione
di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto.
Le sfide in questo contesto sono complesse”. Innanzitutto, con “il rifiuto del legame
umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà
e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione
della sofferenza” scompaiono “anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il
padre, la madre, il figlio”; cadono, cioè, “dimensioni essenziali dell’esperienza
dell’essere persona umana”.
Il Papa, poi entra nel cuore del problema con questa
bellissima meditazione che vogliamo proporvi in modo integrale: “Il Gran Rabbino di
Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente
toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica
forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione
ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia
un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è
in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini.
Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce,
lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il
fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia
della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della
natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo
sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi.
La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente
è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità,
che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli
è stata data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il
racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere
stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere
umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene
contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio
e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli
maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi
stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura
della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai
solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto
riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se
stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente
qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza
creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non
esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste
neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche
la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le
è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora
necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto,
ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge
necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale
creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere.
Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove
Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende
l’uomo”.
Il Papa è poi passato al tema del dialogo: “il dialogo con gli Stati,
il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza
– e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi – ha affermato
- la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna
al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi,
è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità, in cui la Chiesa ha imparato
ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità
e le limitazioni. La cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è
sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana. La Chiesa
rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che
ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona
senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe
la propria identità. Ciò che, nell’incontro tra rivelazione ed esperienza umana, è
stato mostrato alla Chiesa va, certo, al di là dell’ambito della ragione, ma non costituisce
un mondo particolare che per il non credente sarebbe senza alcun interesse. Se l’uomo
con il proprio pensiero entra nella riflessione e nella comprensione di quelle conoscenze,
esse allargano l’orizzonte della ragione e ciò riguarda anche coloro che non riescono
a condividere la fede della Chiesa. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la
Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le
altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla
giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali,
costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima
chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi
in azione politica”.
“Nella situazione attuale dell’umanità – ha proseguito
- il dialogo delle religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e
pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose. Questo
dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente
un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà
dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione
delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della
responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità. In ciò bisogna
imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo
è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio
di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa
da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica" circa le valutazioni
che sono presupposte al tutto. Così il dialogo, in un primo momento meramente pratico,
diventa tuttavia anche una lotta per il giusto modo di essere persona umana. Anche
se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una
questione concreta diventano un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue
le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sforzi possono
avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte
di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia
e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza
più profonda tra loro”.
Il Papa mette poi a confronto dialogo, identità e verità:
“il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di
poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere
per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è
essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della
nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente.
L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso
sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente
e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci
da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità”.
Infine, Benedetto XVI
ha fatto una breve annotazione sull’evangelizzazione, “il cui primo e fondamentale
elemento è il semplice annuncio, il kerigma, che attinge la sua forza dalla convinzione
interiore dell’annunciatore”. “La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo
esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente
in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui
lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di
conoscere Gesù più da vicino. Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita,
nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo. Significa entrare nella comunione
itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita,
in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti”.