Crisi nella Repubblica Centroafricana: al centro degli interessi le risorse minerarie
Si tenta la via del dialogo nella crisi nella Repubblica Centroafricana. I ribelli,
che minacciano di rovesciare il regime di Bangui e hanno conquistato numerose città
nel nord del Paese, hanno sospeso i combattimenti proponendo al governo di intavolare
un negoziato. Sono giunti, intanto, gli aiuti militari del Ciad per sostenere il presidente
François Bozizé, che prese il potere con le armi nel 2003. Ma quali sono gli interessi
in gioco che hanno scatenato il conflitto? Cecilia Seppia ne ha parlato con
padre Giulio Albanese, direttore della rivista Popoli e Missione ed esperto di
questioni africane:
R. – Indubbiamente,
il presidente François Bozizé è davvero in grande difficoltà. Forse questa è la crisi
peggiore, a livello istituzionale, dal 2003, quando il suo predecessore Patassé fu
costretto a fare le valigie.
D. – Parliamo di un conflitto che si è inasprito
in questi ultimi giorni. Ma che cosa c’è dietro? Qual è la connotazione principale
di questo conflitto?
R. – E’ in atto una vera e propria divisione all’interno
del Paese. Apparentemente si tratta di contrapposizioni che hanno una valenza esplicitamente
politica, legate alla gestione del potere. Ma non dimentichiamo che dietro alle quinte
ci sono interessi, soprattutto legati alle immense risorse minerarie di questo Paese.
Recentemente infatti, sono stati rilevati giacimenti non solo di diamanti, ma vi sono
anche risorse energetiche come idrocarburi, e questo soprattutto nel versante settentrionale
del Paese al confine sia con il Ciad sia con il Sudan. Poi, addirittura, si parla
– ma queste sono voci – di giacimenti di uranio!
D. - Non dimentichiamo che
in questa zona ci sono anche dei forti interessi internazionali …
R. – La Repubblica
Centroafricana, in questo momento, è un po’ la cartina di tornasole delle contrapposizioni
tra le grandi potenze. Non dimentichiamo che questa nazione tradizionalmente appartiene
alla francofonia, non foss’altro perché è un’ex-colonia francese. Dall’altro lato,
c’è da considerare che i Brics, in particolare Cina e Sudafrica, hanno interessi da
quelle parti e questo significa che da una parte vi sono tensioni locali e c’è rischio
che davvero scoppi una guerra civile, ora che si profila un intervento da parte dell’esercito
ciadiano. Dall’altra, c’è da considerare che purtroppo, come al solito, la vita dei
popoli dell’Africa – e direi che in questo senso il Centroafrica è davvero una metafora,
un paradigma – è fortemente condizionata da interessi stranieri.
D. – Tra l’altro,
sono in programma questi “colloqui” per cercare una mediazione tra i ribelli e l’esercito,
appoggiato dal Ciad che fa un po' la parte del leone…
R. – Sì: certamente,
l’Unione Africana è quella che in questo momento è più preoccupata. I francesi sembrano
apparentemente defilarsi, anche perché la Francia già in passato ha avuto problemi
nel gestire la questione centroafricana. Una cosa è certa: molto dipenderà dalla moderazione
dei governi della regione e dei Paesi limitrofi, io direi in primis del governo
ciadiano, quello del presidente Idriss Déby, non foss’altro perché in questo momento
è lui che sta difendendo Bozizé, ovvero il governo centroafricano attualmente al potere.
I ribelli, comunque, se sono riusciti a scatenare questa offensiva è perché hanno
i loro paladini dietro le quinte, e quindi hanno ricevuto armi e munizioni. E questo
la dice lunga sul fatto che ancora una volta una crisi come questa rischia di destabilizzare
fortemente il cuore nevralgico delle Afriche.
D. – Tu hai parlato di rischio
di guerra civile: si parla però prima ancora anche di rischio di colpo di Stato …
R.
– Sì: si parla certamente di un possibile ribaltone, e questo non è una novità perché
già nel 2003 Patassé fu costretto a fare le valigie proprio per l’intervento di Bozizé.
Però, c’è anche da considerare una cosa: che in Centroafrica, purtroppo, da parte
della popolazione locale, rispetto a certe vicende, vi è sempre stata una notevole
passività e molte volte, a decidere le sorti del Paese è stato l’esercito, sono stati
i gruppi armati. D’altronde, questo è un po’ un comune denominatore dell’Africa subsahariana.
E direi che uno dei punti deboli del Centroafrica è proprio la debolezza strutturale
della società civile.