Al secondo Sinodo per l’Africa, nell’ottobre 2009, il dibattito si focalizzò su come
la Chiesa cattolica del continente possa contribuire a porre le basi di una società
riconciliata, più giusta e pacifica. Il Sinodo e Africae Munus, l’Esortazione Apostolica
che ne ha raccolto le indicazioni, invitano la Chiesa nel suo insieme ad assumere
una posizione chiara ed essere, senza equivoci, «Sale della Terra».
Benché,
in passato, gli uomini di Chiesa si siano distinti per il loro impegno imparziale
nella risoluzione dei problemi che affliggevano la società, essi lo fecero spesso
a titolo individuale. In effetti, agli inizi degli anni '90 - quando le società africane
vissero il periodo di transizione, passando da sistemi politici basati sul partito
unico al pluralismo politico - esse si rivolsero ai vescovi per essere accompagnate
in questo percorso. E i vescovi hanno risposto positivamente all'appello, presidiando
le Conferenze Nazionali sovrane – organi preposti all'elaborazione, in chiave democratica,
delle nuove norme della competizione politica - al fine di appoggiare la causa della
giustizia e della pace. Ricordiamo, per citare alcuni esempi, l'esperienza di mons.
Isidore De Souza in Benin, di mons. Ernest Kombo in Congo, di mons Philippe Kpodzro
in Togo, e di mons. Laurent Monsengwo in Repubblica Democratica del Congo.
Consegnando
l’Esortazione post-sinodale Africae Munus alla Chiesa africana nel suo insieme, il
Santo Padre la ha invitata a proseguire sulla strada di queste figure. Il Papa ha
esortato tutta la comunità ecclesiale a farsi “strumento efficace di riconciliazione,
giustizia e pace” nel continente. Riconoscendone la vitalità ecclesiale, Benedetto
XVI assegna alla Chiesa che è in Africa un ruolo sociale maggiore nella “costruzione
di un’Africa riconciliata”, nella quale possano regnare la pace e l’amore. Per far
fronte a tale sfida, è stato raccomandato alle Chiese particolari di stabilire piani
d’azione concreti e di creare istituzioni appropriate, capaci di formare le coscienze;
ed anche di formare laici competenti per una presenza attiva e coraggiosa nel mondo
politico, economico e sociale.
Il documento Africae Munus non solo raccomanda
ai laici di vivere la fede attraverso l’azione politica, ma esorta anche i Pastori
ad essere garanti della pace e della riconciliazione nel continente africano, nel
quale i focolai di conflitto e i casi di violazione della dignità umana non cessano
di moltiplicarsi, e dove in alcuni paesi un islamismo esasperato impedisce ai cristiani
di vivere la loro religiosità in serenità.
Come non pensare, in questi tempi
di preparazione della Festa di Natale, ai cristiani della Nigeria, del Kenya o della
Somalia, e a ciò che potrebbe accadere nel giorno in cui la Chiesa celebrerà la nascita
del Principe della Pace? La speranza annunciata nel momento della consegna dell’Esortazione
non può essere considerata nella realtà solo una chimera.
Pertanto, è importante
che la Chiesa promuova il dialogo tra le religioni, quale attitudine spirituale, affinché
i credenti imparino a lavorare insieme in seno alle associazioni impegnate a promuovere
la pace e la giustizia, con fiducia e sostegno reciproci. A questo scopo, Africae
Munus invita i laici cattolici a favorire il dialogo e la collaborazione con i seguaci
delle altre religioni, ed essere così testimoni di fede e di vita cristiana.
Come
accadde in passato, quando i dirigenti africani fecero appello a esponenti della Chiesa
per aiutarli a uscire dalla crisi politica, ancora oggi i popoli africani sono consapevoli
del fatto che la Chiesa è segno di speranza. Una speranza che può non solo condurli
alla risoluzione dei conflitti, ma anche accompagnarli verso l’avvento di un ordine
sociale giusto.
In effetti, un anno dopo la pubblicazione di Africae Munus
i vescovi africani possono trarre un bilancio positivo, sebbene limitato, di azioni
che vanno in questa direzione: la Chiesa della Nigeria, ad esempio, attraverso esortazioni
e gesti concreti, sta sostenendo i cristiani nel non scoraggiarsi dinanzi all’avanzamento
del fondamentalismo islamico e di non entrare nel circolo vizioso della violenza.
I
vescovi della Repubblica Democratica del Congo hanno incontrato recentemente i membri
del Movimento M23; il 19 settembre 2012 hanno celebrato una messa speciale nella parrocchia
di S. Aloïs di Rutshuru (una zona occupata da questo gruppo ribelle), denunciando
la guerra ingiusta e illegittima, e sostenendo l’unità del Paese e del popolo congolese.
Dopo
la divisione del Sudan in due Stati autonomi, i vescovi hanno risposto mantenendo
una Conferenza Episcopale unica per le due nazioni: un gesto di solidarietà verso
i cristiani che vivono in Sudan, considerati come “Chiesa minoritaria che ha bisogno
dei fratelli del Sud per restare in vita”.
Come raccomandato da Africae Munus,
la Chiesa che è in Africa sente la necessità di esser presente laddove si prendono
le grandi decisioni concernenti l’avvenire del popolo africano. Essa auspica di ottenere
una rappresentanza, in quanto Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar,
presso l’Unione Africana e nell’ambito di altri organismi esecutivi regionali e nazionali. I
vescovi si augurano ugualmente di poter partecipare in maggior misura alle riunioni
organizzate sul continente, o altrove, per promuovere la risoluzione dei conflitti.
La
grande sfida che la Chiesa deve assumere in Africa, affinché le sue azioni possano
portare frutti in abbondanza, è di essere protagonista e interprete dei mezzi moderni
di comunicazione sociale, per far intendere la sua voce e dare visibilità alle proprie
azioni.
A cura di Marie José Muando Buabualo, del
programma francese per l’Africa.