2012-12-18 14:33:03

Iraq, ieri giornata di sangue. Il presidente Talabani colpito da ictus


Il presidente dell’Iraq, Talabani, è stato colpito da un ictus. La notizia è giunta questa mattina, mentre il Paese era scosso per l’aggiornamento delle violenze di ieri: 42 persone, tra civili, agenti di polizia e soldati sono state uccise e un centinaio sono rimaste ferite. La nuova serie di attentati è avvenuta in varie province dell'Iraq contro forze di sicurezza, minoranze religiose e pellegrini sciiti iraniani. Esattamente un anno fa, si completava il ritiro delle forze americane dall’Iraq. Della situazione, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Marco Lombardi, docente di Politica della sicurezza all’Università Sacro Cuore di Milano:RealAudioMP3

R. – La prima cosa da dire è che l’Iraq lo considero come il Paese attualmente più pericoloso. Lei sa che sono spesso in Afghanistan, e l’Afghanistan dal mio punto di vista è meno pericoloso dell’Iraq. L’Iraq è il risultato anche di un intervento disastroso – se vogliamo prendere il discorso alla larga – nel senso che sostituire una leadership senza avere un’alternativa è sempre una cosa drammatica. Poi, intervenire presupponendo di poter portare un modello di governance che si pensa globale, e che invece non lo è, è un altro dramma. Poi, ci troviamo di fronte a centri di potere che godono di massima libertà nell’affermare la propria capacità con le milizie; a un Paese in cui la criminalità spadroneggia, perché tanti attentati sono dovuti anche puramente alla criminalità. Inoltre, è un Paese che attorno a sé ha una serie di Paesi confinanti, tutti in conflitto tra di loro tranne forse sul fatto che nessuno di essi ha interesse che l’Iraq diventi una grande potenza regionale. Tutte queste cose messe insieme fanno prevedere un futuro nerissimo per l’Iraq.

D. – Che dire delle forze politiche?

R. – Le forze politiche non riescono a combinare nulla. Per quale ragione? Tuttora, stiamo assistendo a una epurazione degli ex-baatisti, anche se il tempo è passato. Soprattutto, stiamo assistendo ad una guerra costante tra sunniti e sciiti e questa non fa che bloccare il processo di decisione. Non dimentichiamo anche che all’interno del governo c’è una minoranza – pure importante – di deputati che rimandano all’esercito del Mahdi e quindi alle pressioni iraniane. Direi pertanto che il processo decisionale iracheno è completamente bloccato. In più, si tratta di una dimensione politica che non ha nessun interesse a prendere in conto le disperate situazioni della gente normale, di chi vive in Iraq tutti i giorni, di quei cittadini che hanno – ricordiamolo – la corrente elettrica per cinque, sei, sette ore al giorno, pur vivendo sul petrolio; che non hanno servizi e che non hanno nessun tipo di assistenza.

D. – Torniamo un po’ al contesto geopolitico intorno all’Iraq, per parlare però di possibili influenze sulla sfera politica, sul quadro politico. Secondo lei, è cambiato qualcosa, di recente? Sta cambiando qualcosa?

R. – Io non credo stia cambiando molto, ultimamente. Ripeto: le pressioni attorno sono tutte interessate e in realtà, anche al livello politico del Paese, quello che crea il confronto all’interno del parlamento sono evidentemente proprio le diverse pressioni iraniane, ma anche wahabite. E comunque, c’è disinteresse che un Iraq che potrebbe essere la grande potenza regionale, anche con relazioni forti con l’Occidente, possa diventare tale. Teniamo anche conto che all’interno delle forze politiche si scontrano interessi molto frammentati del Paese. Il Paese è completamente disgregato: essere a Baghdad non è essere a Erbil, non è essere a Sulaymaniyah… E’ un Paese che definirlo "a macchia di leopardo" è dir poco: è completamente frammentato e disgregato. E, quindi, si uniscono queste due congiunture: interessi disgregatori che vengono dall’esterno e disinteresse aggregatore che viene dall’interno.







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