Campagna Uer "WhyPoverty?": l'impegno della Chiesa per i poveri del Sahel
Nella Campagna dell'Unione Europea di Radiodiffusione (UER) sulla povertà "Why Poverty?",
non poteva mancare l'aiuto della Chiesa per le martoriate popolazioni africane del
Sahel, afflitte da siccità e desertificazione. Un aiuto che si esprime attraverso
la Fondazione "Giovanni Paolo II per il Sahel" del Pontificio Consiglio "Cor Unum",
il dicastero per la carità del Papa. Una fondazione voluta dallo stesso Beato Papa
Wojtyla e che all'interno di Cor Unum è seguita dal segretario del dicastero vaticano
mons. Giovan Pietro Dal Toso il quale spiega al microfono di Roberto Piermarini
cosa ha spinto Giovanni Paolo II a creare questa realtà caritativa:
R. - Lo ha spinto
il fatto di aver visto con i propri occhi questa situazione drammatica che negli anni
’80 il Sahel viveva. Come sappiamo, la Fondazione è nata nel 1984, perché qualche
anno prima, nel 1980, Giovanni Paolo II aveva visitato tra i primi Paesi, all’inizio
del suo Pontificato, quelli estremamente poveri. Da questo incontro drammatico con
la povertà in Africa è nata questa idea di istituire una Fondazione che si prendesse
cura specialmente di questi Paesi, che sono probabilmente i più poveri del pianeta.
D. - La Fondazione quale contributo ha dato al fenomeno della desertificazione,
che colpisce la regione del Sahel? Ci sono stati dei risultati?
R. - I risultati
ci sono stati, anche se è chiaro che in queste cose è sempre difficile misurarli.
Possiamo, però, sicuramente dire che nei diversi Paesi – si tratta di 9 Paesi che
rientrano tra i beneficiari della Fondazione – si è creata tutta una serie di progetti,
soprattutto a base comunitaria, quindi per villaggio, per favorire la costruzione
di pozzi, per favorire la piantagione di alberi e così via. Un altro aspetto che mi
sembra molto importante - per questo dico che non è sempre facilmente misurabile -
è l’aspetto della formazione, perché da sempre la Fondazione ha anche finanziato progetti
di formazione, proprio per rendere le persone più capaci di affrontare il problema.
D.
- Quali progetti ha portato avanti la Fondazione e quali deve ancora realizzare?
R.
- Chiaramente, ce ne saranno sempre da realizzare, perché il problema non è risolto,
anzi, come sappiamo, in questo ultimo anno, i problemi alimentari nel Sahel sono
aumentati. Io penso, sinceramente, che la questione più importante in questo momento
sia quella di investire sulle persone, cioè di aiutare anche le popolazioni del Sahel
a sviluppare quelle capacità che hanno, a sviluppare ulteriormente quelle possibilità
che li rendono capaci di affrontare il problema in maniera diretta. Quindi, di nuovo,
appunto, torniamo sull’aspetto della formazione.
D. - Cosa prova quando lei
si reca nel Sahel per coordinare gli aiuti del Papa per le popolazioni povere della
regione?
R. - L’incontro con la povertà, che sia in Africa o che sia in America
Latina, è sempre un incontro scioccante, anche perché è ovvio che noi viviamo una
situazione di vita completamente diversa. Quello che, però, dobbiamo chiederci sempre
– mi sembra –, e che forse è una domanda un poco trascurata e che dovremmo tornare
a farci, riguarda proprio il rapporto con le persone, soprattutto in questi Paesi
particolarmente colpiti dalla fame o dalla sete. Dobbiamo chiaramente aiutarli a sopravvivere,
ad avere il minimo necessario per vivere, ma oltre a questo la domanda è quale sia
lo sviluppo che vogliamo portare, perché su questo mi sembra ci sia poca chiarezza.
Qual è alla fine il punto di arrivo dei nostri interventi? Qual è anche la concezione
di persona alla quale vogliamo rifarci, per favorire la crescita delle persone che
abbiamo davanti? Allora, sono tutta una serie di domande alle quali, devo dire, anche
grazie all’incontro in loco con una serie di persone che soffrono le conseguenze della
fame, ma anche una serie di persone che aiuta chi soffre le conseguenze della fame,
il nostro dicastero vorrebbe cercare di dare una risposta.