2012-12-18 07:25:35

A Roma convegno internazionale su "Religione e spazio pubblico"


Il rapporto tra “religione e spazio pubblico” al centro di un convegno internazionale in corso ieri e oggi all’Università di Roma Tre. Tra i temi affrontati: il pluralismo religioso in Paesi di tradizione cattolica, la presenza di simboli legati alla fede in luoghi pubblici, la libertà religiosa ed il rapporto con la politica. “La laicità come ideologia” è invece al centro della relazione di Luca Diotallevi, docente di sociologia a Roma Tre. Paolo Ondarza lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. - La laicità, quando si afferma, tende a negare l’esistenza di una soluzione diversa dalla propria. E’ una forma di assolutismo.

D. - E quanto è diffusa oggi?

R. - Dal punto di vista globale, assai poco. Il problema, però, è che il suo punto di forza è molto vicino a noi: si trova in Francia. Le élite dell’Europa continentale sono l’ultimo fortino della ideologia della laicità. Per questo, pur essendo una cultura e un sistema istituzionale in declino, noi siamo molto esposti alla sua influenza.

D. - Ma esiste una laicità positiva?

R. - No, non esiste! Spesso noi chiamiamo erroneamente “laicità positiva” quella che è la libertà religiosa, ovvero l’idea che si possa fondare uno spazio pubblico nel quale le religioni non sono solo ammesse, ma di questo spazio pubblico sono riconosciute come pilastri, ovviamente nel rispetto dell’ordine pubblico.

D. - Solitamente intendiamo “laicità” non come qualcosa di negativo e parliamo di laicismo per definire quella che lei sta definendo laicità…

R. - Questo è un segno della grande vittoria del laicismo: riuscire cioè ad accreditare di sé un’immagine accettabile.

D. - La laicità come ideologia è quella che vorrebbe vietare i simboli religiosi negli spazi pubblici o, visto che siamo a Natale, la celebrazione di feste legate al cristianesimo - ad esempio - all’interno delle scuole …

R. - E’ quella che vorrebbe negare la varietà. La laicità è la pretesa di omologazione del sociale a un solo modello.

D. - Come negare la varietà in un contesto come quello italiano, profondamente mutato negli ultimi anni, dove cresce la presenza di religioni diverse da quella cattolica?

R. - Privatizzando le differenze: lasciando lo spazio pubblico sotto il dominio di alcuni poteri che hanno la forza di presentarsi come neutrali - anche se noi sappiamo che nessun potere è neutrale - relegando in ambiti soggettivi e domestici l’esercizio di queste differenze. Quindi impoverendo la società: la laicità è una grande forma di impoverimento culturale.

D. - Oggi quanto è diffusa tra la gente l’idea che la religione debba essere relegata nel privato?

R. - E’ interessantissimo osservare che è molto più diffusa nelle idee delle persone che nella pratica delle persone. Spesso le persone si portano dietro quando acquistano, quando scelgono l’educazione per i figli, quando votano, quando esprimono le proprie convinzioni profonde, portano in pubblico le loro convinzioni religiose. Interrogati, però, in astratto su quale sia l’ambito della religione, una quota molto maggiore dice: “il privato”. La realtà è migliore di quella che sembra.

D. - Si ha, forse, paura di essere giudicati retrogradi?

R. - Il problema è che se uno afferma questi principi, si trova immediatamente contro l’elite culturale di questa nostra vecchia Europa continentale francese, tedesca, spagnola e italiana.







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