Ondata di attentati in Siria. L'opposizione riconosciuta dagli Amici della Siria
Non si placa la violenza in Siria. Quattro le esplosioni che ieri hanno investito
Damasco – tre davanti al ministero dell’interno - in tutto il Paese sono circa 50
le vittime. Intanto una fonte vicina all’amministrazione Obama ha confermato che l’esercito
siriano sta impiegando missili scud e importanti novità arrivano sul fronte diplomatico.
Il servizio di Marina Calculli:
Il gruppo
dei Paesi cosiddetti “Amici della Siria”, riuniti ieri a Marakesh, ha riconosciuto
la Coalizione nazionale guidata dallo Sceicco al-Khatib come l’unica autorità legittima
del Paese. Un altro duro colpo per Assad, dopo che già Inghilterra, Francia, e poi
successivamente l’intera Unione Europea e anche gli Stati Uniti avevano riconosciuto
l’opposizione. Washington ha anzi invitato il suo leader a recarsi in America. Intanto
sul terreno i combattimenti tra esercito e ribelli continuano. Un attentato durissimo
ha colpito il Ministero dell’Interno a Damasco, con tre esplosioni ad altissimo potenziale,
una di queste causata un’autobomba. Il bilancio è di 11 morti e 50 feriti secondo
fonti della sicurezza. Il ministro dell’Interno al-Chaar e i suoi funzionari non sono
stati toccati dall’esplosione. Nella mattinata di ieri altre due autobombe erano esplose
nei sobborghi mediorientali della capitale. Nel frattempo il procuratore generale
a Damasco ha emesso un mandato di cattura per Saad Hariri, leader sunnita della coalizione
parlamentare libanese ostile al regime di Assad. L’accusa è quella di aver fornito
armi ai ribelli.
Alle oltre 40 mila vittime, dall’inizio della guerra civile,
si aggiungono le centinaia di migliaia di profughi. E in molti si chiedono perché
la Corte Penale Internazionale non intervenga di fronte a questi crimini e all’evidente
violazione di diritti umani. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il vicepresidente
della Corte, il giudice Cuno Tarfùsser, ieri a Roma per una conferenza sulle
prospettive future dell’organismo di giustizia internazionale:
R. – C’è chi
vorrebbe una giustizia forte e chi meno invadente. Io posso dire, da parte mia, che
sono orgoglioso di essere in questa struttura, che ha una giurisdizione e un occhio
attento sul mondo, e cerco di dare il mio contributo per farla crescere. Sta poi ad
altri giudicare. Evidentemente, la politica ha una voce molto condizionante anche
su questa struttura: si capisce che dietro ciò che facciamo c’è tutto un mondo molto
articolato. Però, è una sfida straordinaria e io sono molto orgoglioso di farne parte. D.
– Come vede l’impossibilità di intervenire in una realtà così drammatica come quella
della Siria? R. – Quella siriana è una questione drammatica che vivo, come tutti,
sotto il profilo umano e come cittadino. Come giudice della Corte, devo però attenermi
a delle regole e noi non abbiamo giurisdizione su situazioni e su Stati che non abbiano
ratificato lo Statuto della Corte. E questo è il caso della Siria. L’unico modo per
poter compiere delle indagini in Siria sarebbe attraverso la decisione del Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite, che ci riferisse il caso e quindi ci assegnasse
la questione con una risoluzione. Questa risoluzione viene, però, dall'inizio della
crisi bloccata dalla Russia e dalla Cina. Quindi, come giudice non posso fare altro
che prendere atto, con rammarico, di questa situazione politica che non permette a
noi di operare. Come cittadino, sono ugualmente costernato di fronte a quello che
succede. D. – Come fare a rafforzare l’azione cogente della Corte penale: ad esempio,
il mandato di cattura contro il presidente sudanese, al-Bashir, è rimasto lettera
morta… R. – Credo che lo sviluppo della Corte penale internazionale sia un qualcosa
che avviene nel tempo, come tutte le cose a livello mondiale. Ci vuole il consenso,
ci vuole la rinuncia a un po’ di sovranità: ci vogliono tante cose, che evidentemente
non si possono ottenere solo accendendo e spegnendo un interruttore. Già il fatto
che la Corte penale esista, è una cosa grandissima: dieci anni fa nessuno ci avrebbe
scommesso sull’esistenza oggi di questa Corte e sul suo funzionamento, seppur ancora
in maniera imperfetta. Per quanto riguarda la questione al-Bashir: fin quanto il capo
di Stato è tale, sarà difficile che qualcuno lo arresti. Io confido, però, che sia
soltanto una questione di tempo. Anche di Charles Taylor si diceva che non si sarebbe
mai riuscito a catturarlo e adesso, invece, è condannato. Ma io credo che tra qualche
anno probabilmente parleremo di questa cosa in termini completamente diversi. Anche
di Milosevic nessuno pensava che un giorno sarebbe arrivato davanti al Tribunale dell’ex-Jugoslavi.
Così come Karadzic, Mladic e altri. La giustizia è ontologicamente lenta, ma è anche
ontologicamente inesorabili.