In crescita il numero degli immigrati nel Lazio: ancora insufficiente l'integrazione
sociale
Aumentano gli immigrati regolari nel Lazio e la provincia di Roma si conferma un polo
di attrazione, nonostante gli effetti della crisi soprattutto sull'occupazione. Età
media 37 anni, per lo più donne e di provenienza europea, con in cima la Romania.
Sono alcuni dati della IX edizione dell’Osservatorio romano sulle migrazioni presentata
da Caritas e Camera di commercio. Nella regione resta scadente il livello di inserimento
sociale, mentre migliorano le politiche per la salute. Il servizio di Gabriella
Ceraso:
Crescono
i flussi migratori nel Lazio, anche se in maniera contenuta, e a pesare ancora una
volta è la crisi. 511 mila dei 615 mila regolari della regione scelgono di abitare
e lavorare nella capitale, per lo più nel quadrante est: quartieri Casilino, Prenestino,
Torpignattara. L’occupazione tra loro, per il primo anno, cala - se pur di poco -
circa sei mila unità e comunque meno che a livello nazionale e nel solo lavoro dipendente;
regge, invece, quello autonomo e meglio che in Italia. Più resistenza, dunque, per
gli stranieri se pur meno qualità lavorativa; sottolinea Ginevra de Maio, curatrice
del rapporto:
La crisi ha aumentato ulteriormente le differenze nell’inserimento
lavorativo, nel senso che: ancora più di prima, gli immigrati lavorano soprattutto
nelle mansioni con qualifiche più basse, per esempio, nell’area dei servizi, nell’edilizia
e in parte nel commercio. È evidente se guardiamo i titoli di studio: il 50% dei lavoratori
stranieri hanno un diploma superiore e questo vale anche tra i laureati, il 35%.
A
preoccupare, dunque, più che l’occupazione è l’integrazione, che nel Lazio – dice
il rapporto – è a livello medio perché c’è attrattiva, ma questa non corrisponde ad
un inserimento sociale adeguato ed il sistema di accoglienza, specie per i rifugiati
o richiedenti asilo, manca di posti sufficienti e di prospettive risolutive.
Abbiamo
ancora adesso dei permessi temporanei che sono nuovamente in prossimità di scadenza
e non sappiamo, appunto, se ci sarà un'ulteriore proroga della temporaneità del permesso;
oppure, se queste persone all’improvviso si ritroveranno senza il permesso e allo
stesso tempo con un’accoglienza che si è per lo più concentrata proprio sulla prima
accoglienza. Roma soffre più di altre città perché, ovviamente, molti dei flussi –
non solo quelli provenienti dal Nordafrica, ma in generale dei rifugiati – passano
da Roma e vedono in Roma la prima città in cui approdare. Un esempio sono le occupazioni
o, comunque, le soluzioni abitative spontanee, dove la stima è che vivano complessivamente
tra le 1200-1500 persone, che per gran parte o hanno già ottenuto l’asilo e la protezione
umanitaria, o ne hanno fatto richiesta. Più del 60% vive in Italia da 4 anni e questo
ci dice che c’è qualcosa che, effettivamente, non funziona nel sistema nazionale di
accoglienza, che è ancora un po’ disgregato.
Innovative, invece, dal 2011
le politiche laziali per la salute. Ancora Ginevra de Maio:
La regione Lazio,
grazie anche alla spinta dal basso, nata dalle associazioni e anche dai servizi sanitari,
che si riuniscono da diverso tempo nel Lazio in un gruppo che si chiama Gris (Gruppo
immigrazione e salute della regione Lazio), ha messo in atto – tra il 2011 ed il 2012
– un piano formativo, rivolto agli operatori sanitari del pubblico e coinvolgendo
in questa formazione quasi 2000 operatori sanitari. È effettivamente un’esperienza
abbastanza innovativa, con delle ricadute pratiche molto importanti.
Ma
l’appello principale, alla luce dei dati, resta un altro. Mons. Enrico Feroci, direttore
della Caritas Diocesana:
Molti hanno figli che sono nati in Italia e nella
maggior parte delle nostre scuole ci sono figli che noi diciamo “stranieri”, ma si
sentono romani; e se si sentono romani, dobbiamo considerarli
romani. Allora, dal mio punto di vista, credo che la cittadinanza debba esser data
a queste persone. Mi sembra che sia un contributo positivo.