Siria, sconvolta da attentati. Il disaccordo Onu impedisce intervento della Corte
penale internazionale
Violenza senza tregua in Siria. Tre esplosioni in serata hanno colpito la sede del
ministero dell'Interno a Damasco. Secondo la tv di stato ci sarebbero vittime, ma
il numero resta ancora incerto. Intanto il Gruppo dei Paesi amici della Siria, Paesi
arabi e occidentali ostili al regime, hanno formalmente dichiarato oggi l'opposizione
riunita nella Coalizione nazionale come ''unica legittima rappresentante'' del popolo
siriano. Il servizio di Marina Calculli:
Tre esplosioni
di fronte all’ingresso del Ministero dell’Interno a Damasco hanno aperto un’altra
pagine del terrore in Siria. L’agenzia governativa SANA, che ha riportato la notizia,
ha specificato che una delle tre esplosioni è stata causata da un’autobomba, ma non
ha indicato se ci siano stati o meno feriti e vittime. Nella mattinata di oggi altre
due autobombe erano esplose nei sobborghi mediorientali della capitale. Intanto dalla
diplomazia internazionale giunge un ennesimo colpo duro per Assad: anche il gruppo
di paesi cosiddetti Amici della Siria, riuniti a Marakesh, hanno riconosciuto oggi
la Coalizione nazionale guidata dallo Sceicco al-Khatib come l’unica autorità legittima
della Siria. Washington che ha appena indipendentemente riconosciuto la Coalizione,
ha inoltre invitato formalmente il suo leader negli Stati Uniti. Quasi come una risposta
provocatoria, oggi intanto il procuratore generale a Damasco ha emesso un mandato
di cattura per Saad Hariri, leader sunnita della coalizione parlamentare libanese
ostile al regime di Assad. L’accusa è quella di aver fornito armi ai ribelli.
E
in molti si chiedono perché la Corte penale internazionale (Cpi) non intervenga di
fronte a questi crimini e all’evidente violazione di diritti umani. Giancarlo La
Vella ne ha parlato con il vicepresidente della Corte, il giudice Cuno Tarfusser,
oggi a Roma per una conferenza sulle prospettive future dell’organismo di giustizia
internazionale:
R. – C’è chi
vorrebbe una giustizia forte e chi meno invadente. Io posso dire, da parte mia, che
sono orgoglioso di essere in questa struttura, che ha una giurisdizione e un occhio
attento sul mondo, e cerco di dare il mio contributo per farla crescere. Sta poi ad
altri giudicare. Evidentemente, la politica ha una voce molto condizionante anche
su questa struttura: si capisce che dietro ciò che facciamo c’è tutto un mondo molto
articolato. Però, è una sfida straordinaria e io sono molto orgoglioso di farne parte.
D. – Come vede l’impossibilità di intervenire in una realtà così drammatica
come quella della Siria?
R. – Quella siriana è una questione drammatica che
vivo, come tutti, sotto il profilo umano e come cittadino. Come giudice della Corte,
devo però attenermi a delle regole e noi non abbiamo giurisdizione su situazioni e
su Stati che non abbiano ratificato lo Statuto della Corte. E questo è il caso della
Siria. L’unico modo per poter compiere delle indagini in Siria sarebbe attraverso
la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ci riferisse il caso
e quindi ci assegnasse la questione con una risoluzione. Questa risoluzione viene,
però, dall'inizio della crisi bloccata dalla Russia e dalla Cina. Quindi, come giudice
non posso fare altro che prendere atto, con rammarico, di questa situazione politica
che non permette a noi di operare. Come cittadino, sono ugualmente costernato di fronte
a quello che succede.
D. – Come fare a rafforzare l’azione cogente della Corte
penale: ad esempio, il mandato di cattura contro il presidente sudanese, al-Bashir,
è rimasto lettera morta…
R. – Credo che lo sviluppo della Corte penale internazionale
sia un qualcosa che avviene nel tempo, come tutte le cose a livello mondiale. Ci vuole
il consenso, ci vuole la rinuncia a un po’ di sovranità: ci vogliono tante cose,
che evidentemente non si possono ottenere solo accendendo e spegnendo un interruttore.
Già il fatto che la Corte penale esista, è una cosa grandissima: dieci anni fa nessuno
ci avrebbe scommesso sull’esistenza oggi di questa Corte e sul suo funzionamento,
seppur ancora in maniera imperfetta. Per quanto riguarda la questione al-Bashir: fin
quanto il capo di Stato è tale, sarà difficile che qualcuno lo arresti. Io confido,
però, che sia soltanto una questione di tempo. Anche di Charles Taylor si diceva che
non si sarebbe mai riuscito a catturarlo e adesso, invece, è condannato. Ma io credo
che tra qualche anno probabilmente parleremo di questa cosa in termini completamente
diversi. Anche di Milosevic nessuno pensava che un giorno sarebbe arrivato davanti
al Tribunale dell’ex-Jugoslavi. Così come Karadzic, Mladic e altri. La giustizia è
ontologicamente lenta, ma è anche ontologicamente inesorabile.