Egitto: salta riunione per il dialogo nazionale. Referendum costituzionale 15 e 22
dicembre
Le forze di opposizione egiziane si schierano contro il referendum sulla costituzione
dei prossimi 15 e 22 dicembre perchè mancano i giudici per monitorare gli oltre 13.000
seggi. E’ slittata intanto la riunione per il dialogo nazionale, convocata per oggi
dal ministro della Difesa e capo dello Stato maggiore interforze a causa delle scarse
adesioni registrate tra gli invitati: i partiti, le autorità religiose, la magistratura
e gli esponenti della società civile. Al di là del rinvio, i militari, che in Egitto
hanno sempre avuto un ruolo importantissimo tornano anche in questa fase ad assumere
un ruolo guida. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Branca, docente
di Lingua e letteratura araba e islamistica presso l’Università Cattolica di Milano:
R. - La situazione
in Egitto si era bloccata, in quanto il presidente Morsi, eletto regolarmente, aveva
però avocato a sé tutti i poteri. Ha poi invitato a un dialogo le opposizioni che
si erano rifiutate, nonostante lui abbia ritirato il decreto che verte anche sullo
svolgimento del referendum. Morsi vuole comunque che si tenga a breve, mentre gli
altri preferirebbero rimandarlo. Al di là del rinvio dell'appuntamento odierno, le
forze armate sono intervenute per sbloccare questa situazione e penso sia stato un
passo necessario, altrimenti questo grande Paese sarebbe rimasto nello stallo ancora
più a lungo.
D. - A proposito del referendum costituzionale, Morsi ha firmato
anche un decreto che prevede lo svolgimento della tornata elettorale il 15 ed il 22
dicembre, quindi in due date. Cosa si cela dietro questa ulteriore mossa a sorpresa,
secondo lei?
R. - Non è tanto una mossa a sorpresa. Poiché il 90% dei giudici
- che secondo la Costituzione egiziana devono monitorare la regolarità delle elezioni
- aveva rifiutato di farlo per il 15 di dicembre, e avendo ovviamente poche possibilità
a disposizione, hanno preferito sdoppiare la data per poter, con meno giudici, coprire
tutti i seggi. Questo è sicuramente un segnale nell’altro senso, meno dialogico, come
dire: "Io vado avanti per la mia strada e, se anche la maggioranza di giudici non
ci sta, me la cavo con quelli che mi obbediscono".
D. - L’Egitto vive sicuramente
un momento di grandi cambiamenti, tutti molto veloci. La base però resta in protesta
e le manifestazioni di piazza si moltiplicano. C’è il rischio, secondo lei, che si
arrivi a uno scollamento completo tra istituzioni e popolo egiziano?
R. - Diciamo
che tra istituzioni e popolo egiziano c’è sempre stato un baratro, anche durante le
dittature che si sono a lungo succedute. Certamente, la protesta è comprensibile,
ma non può continuare in modo indefinito. L’importante è che le persone che adesso
sono a capo delle istituzioni prendano atto che non è più possibile, come si faceva
sempre in passato, fare qualcosa senza un consenso popolare, anche trasversale, perché
ci sono anche tanti islamici che non sono d’accordo su queste mosse troppo aggressive
e prepotenti del neopresidente. Quindi, una saggezza da parte delle istituzioni, nel
tener conto del parere della base, può forse evitare al Paese di rimanere in questo
stato di agitazione permanente.
D. - Sul fronte diplomatico internazionale,
gli Sati Uniti continuano di fatto a sostenere Morsi e la conferma arriva dall’invio
all’Egitto, per esempio, di 20 cacciabombardieri F16 nella versione più aggiornata.
È un sostegno molto importante quello di Washington, questo vuol dire che l’Egitto
continua a essere un attore essenziale in Medio Oriente…
R. - Lo è sicuramente
dal punto di vista storico-strategico, è il più grande Paese arabo, con più di 80
milioni di abitanti. Mi stupisce un po’ come la loquacità di Obama, quando doveva
cadere Mubarak, non sia altrettanto evidente adesso che, comunque, le manifestazioni
per contestare Morsi continuano. Non vorrei che gli Stati Uniti cadessero nella tentazione
di appoggiare troppo un "uomo forte" nella zona, pur di avere un alleato affidabile,
senza tener conto delle giuste rivendicazioni di diritti che continuano a provenire
trasversalmente dalla base.