Non si ferma la protesta in Egitto. I manifestanti arrivano fino al palazzo presidenziale
Al Cairo, i manifestanti sono riusciti a superare le barricate dell’esercito e sono
arrivati fin sotto al palazzo presidenziale, mentre la guardia repubblica continua
intanto a difenderne gli ingressi. Nel pomeriggio migliaia di persone si erano messe
in marcia per ribadire la protesta contro il presidente Morsi e chiedendone la caduta.
Il governo intanto cerca di portare al tavolo del dialogo l’opposizione che continua
a rifiutare. Altre migliaia di dimostranti, da parte dei Fratelli musulmani hanno
invece dato vita ad una manifestazione a circa due chilometri dal palazzo presidenziale.
Intanto nel nord del Paese si registra l’assalto ad una sede del Fratelli Musulmani,
con un bilancio di due poliziotti feriti e cinque arresti. Dal Cairo, GiuseppeAcconcia:
Prosegue il
braccio di ferro in Egitto tra islamisti e forze laiche. I movimenti di opposizione
sono scesi di nuovo in piazza oggi. I manifestanti chiedono il ritiro della dichiarazione
costituzionale dello scorso 22 novembre con la quale il presidente egiziano Mohammed
Morsi ha ampliato i suoi poteri e il congelamento del referendum costituzionale del
prossimo 15 dicembre. Dall’altro lato, Fratelli musulmani e salafiti si sono dati
appuntamento nella moschea al Azhar per i funerali di due delle sette vittime degli
scontri dei giorni scorsi. Ieri sera, in un discorso televisivo, il presidente Morsi
aveva invitato l’opposizione al dialogo in un incontro ufficiale previsto per domani.
Esponenti dell’opposizione dal premio Nobel Mohammed el Baradei all’ex segretario
generale della lega araba, Amr Moussa hanno declinato l’invito. Le accuse reciproche
tra forze laiche e islamiche mostrano un paese spaccato in due e sull’orlo di nuove
tensioni.
Ma qual è l’atteggiamento di Morsi di fronte alla protesta? DavideMaggiore lo ha chiesto a MarcellaEmiliani, esperta di Medio
Oriente:
R. – Quella
di un politico in difficoltà. Infatti, una larga fetta della politica e soprattutto
dell’opinione pubblica egiziana non si riconosce in quella bozza costituzionale.
D.
– Il presidente Morsi rischia di vedersi deposto dal potere?
R. – Difficile
immaginare come lo si possa deporre se non ricorrendo a vecchissimi metodi, ovvero
quello del colpo di Stato. Morsi, però, aveva già provveduto a neutralizzare i personaggi
dell’entourage militare che sarebbero potuti intervenire a indebolire il suo potere.
Le caserme, per ora, stanno a guardare ma nessuno può garantire che non intervengano.
D.
– Un altro elemento riportato dalle cronache ieri è l’assalto dato da alcune centinaia
di persone alla sede del Partito dei Fratelli musulmani: c’è il rischio di una deriva
violenta da parte della piazza?
R. – Assolutamente sì, perché l’opinione pubblica
non strettamente confessionale si è sentita tradita due volte. I Fratelli musulmani
non sono stati i promotori della rivolta di Piazza Tahrir che ha deposto Mubarak:
sono intervenuti dopo alcuni giorni, quando ormai il regime stava subendo grosse scosse.
Dopodiché, i Fratelli musulmani – certo, anche con le elezioni, che però sono state
invalidate dalla magistratura – si sono impadroniti completamente del potere legislativo,
poi esecutivo, poi giudiziario e hanno lasciato pochissimo spazio alle altre forze
per esprimersi. Quindi, diciamo che se si continua di questo passo, i Fratelli Musulmani
verranno visti come quelli che hanno scippato la rivoluzione e ora la stanno coniugando
solo sui propri interessi.
D. – E tuttavia, l’opposizione ancora oggi sembra
divisa sulla scelta da fare al momento dell’ormai prossimo referendum costituzionale.
Quali sono le prospettive di questo vasto schieramento?
R. – L’opposizione
si è unita in un Fronte di salvezza nazionale. Bisognerà vedere se la scelta che verrà
fatta sarà quella di astensione dal referendum o se invece si cercherà di aggregare
tutto le forze contro Morsi. Certo, comunque la si veda si va ad una spaccatura profonda
dell’opinione pubblica e del mondo politico uscito da Piazza Tahrir, che certo non
fa ben sperare.
D. – In serata è arrivata anche la telefonata del presidente
americano Obama: cosa possono veramente fare, gli Stati Uniti, per risolvere questa
crisi?
R. – Poco: essendo gli Stati Uniti il maggiore finanziatore del bilancio
egiziano, possono premere però per un’eventuale diminuzione dei fondi da parte degli
Stati Uniti ai quali potrebbero sopperire gli Emirati del Golfo …