2012-12-04 08:22:56

EDITORIALE EUROPEO


Perchè la Povertà?

“Why Poverty?”- Perché la Povertà? Questa è la domanda che i giornalisti di radio, televisioni e internet di tutta Europa hanno fatto risuonare nella settimana scorsa. Si tratta di una campagna informativa su povertà vecchie e nuove e su cosa si possa fare per migliorare la vita di chi ne soffre – sia nei Paesi benestanti, sia in quelli in via di sviluppo. In questo editoriale, Philippa Hitchen, giornalista del Programma Inglese, riflette sul contributo specifico della Chiesa.

“Si tratta di rapporti giusti” – così mi disse un saggio frate francescano molti anni fa.
“Si tratta di capire il nostro posto nell’ecosistema della vita, di capire la nostra dipendenza, non solo da Dio, ma l’uno dall’altro e tutti dal Creato.”

Negli ultimi vent’anni, la nostra idea di “povertà” si è scostata dal concetto espresso dalla Banca Mondiale negli anni novanta, limitato a chi vive con “meno di un dollaro al giorno”. Oggi, come ci ricordano i “Millennium Development Goals”, non si tratta più di quanto una persona guadagna. Oggi si parla di accesso all’educazione, all’assistenza sanitaria e all’acqua pulita; si tratta di proteggere l’ambiente, combattere l’ignoranza, promuovere equi diritti tra uomini e donne, e di aumentare la partecipazione nel processo politico. Il 2015 dovrebbe segnare una mèta importante: dimezzare il numero delle persone che vivono in povertà nel mondo. Ma è una mèta che dovrebbe anche garantire maggiore accesso alle nuove tecnologie delle comunicazioni e ad internet. Spesso è proprio la mancanza di questo che lascia interi paesi in uno stato di sottosviluppo e umiliazione.

Ci sono voluti decenni perchè le istituzioni finanziarie e altre capissero l’errore del modello “dall’alto in basso”, oppure quello della “stessa misura per tutti”, quando si tratta di sviluppo internazionale. Da tempo, invece, la Chiesa Cattolica promuove una dottrina sociale basata sul potenziamento, sull’interconnettività, e su una visione olistica e comune della dignità umana. E’ proprio questo che fanno innumerevoli uomini e donne, religiosi e religiose, in tutto il mondo quando gestiscono scuole e ospedali, iniziative e programmi che aiutano tante persone ad aiutare sè stesse – invece di dipendere dalla carità occidentale.

Già durante il secolo scorso, i papi e altri rappresentanti della Chiesa hanno sviluppato i principi della giustizia sociale nel loro contesto storico: nel 1889 in Inghilterra, il Cardinale Henry Manning si propose come mediatore durante un famoso sciopero portuale; l’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII fu pubblicata solo due anni dopo. Tempi più recenti hanno visto la pubblicazione di un documento da parte del Pontificio Concilio Giustizia e Pace sul debito internazionale che ha anticipato una campagna di cancellazione del debito chiamata “Drop the Debt”. Per non parlare dell’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI che lancia una sfida ai governi, alle banche e alle multinazionali per affrontare le cause della povertà nel mondo oggi.

Allora, come mai non è maggiormente conosciuto e diffuso questo ricco e articolato insegnamento sulla dignità umana e sulla solidarietà globale? Com’è possibile che la dottrina sociale della Chiesa sia descritta come un “segreto nascosto” o, addirittura, trascurato? Perfino la popstar irlandese, Bono, in visita al Vaticano di recente, ha voluto incoraggiare il Cardinale Turkson ad aumentare la visibilità della Chiesa nella campagna contro la povertà. Forse c’è una tendenza nella Chiesa a tenere un profilo troppo basso, dedicandosi in silenzio al lavoro da fare, e lasciando la retorica ai politici e alle popstar? O forse diffidiamo a lavorare con altri che non sempre condividono “il nostro modo di fare”? In effetti, ci sono coloro che non considerano la giustizia e la pace come parte integrante della fede Cattolica. In molti seminari e luoghi di formazione, i corsi che approfondiscono la dottrina sociale della Chiesa sono ancora “opzionali”. C’è un’altra difficoltà strettamente personale: la decisione di prendere sul serio il messaggio del Vangelo significa cambiare radicalmente la nostra propria vita, i nostri rapporti con gli altri – e non solo quelli che ci sono più vicini, amici e parenti, ma anche con quelli che vivono dall’altra parte del mondo. Significa impegnare meglio il nostro tempo, la nostra energia, il nostro denaro. Significa cambiare il modo in cui affrontiamo gli affari, la politica, il mondo finanziario. Siamo veramente capaci, questo Avvento, a seguire l’esempio di San Francesco e mettere da parte i nostri egoismi e le nostre ipocrisie? Riusciamo a dare, non soltanto in senso economico o caritatevole, ma donando noi stessi, mettendoci a servizio degli altri – proprio come Dio ha fatto per noi?

Questo sì che è un dono che farebbe la differenza questo Natale.








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