Crisi siriana: per la Nato inaccettabile l'utilizzo di armi chimiche
I ribelli siriani anti-regime sarebbero avanzati fino a circa sei km dal centro di
Damasco. Lo riferiscono all'agenzia ANSA testimoni oculari che preferiscono rimanere
anonimi per ragioni di sicurezza. Intanto oggi è stata un’altra giornata di violenza.
Il servizio di Paolo Ondarza: 29
studenti e un insegnante sono stati uccisi in una scuola vicino alla capitale, centrata
da un colpo di mortaio lanciato dai ribelli, riferisce l'agenzia di stato siriana
Sana. Ucciso anche un giornalista della stampa di Stato. Intanto dopo il monito degli
Usa, anche il segretario generale della Nato punta il dito contro il regime di Assad
sull’uso di armi chimiche. A Bruxelles, infatti, è in corso la riunione dei ministri
degli Esteri dell'Alleanza Atlantica e si sta decidendo sulla richiesta della Turchia
di dislocare missili lungo il confine, per difendersi da un eventuale attacco di Damasco.
La Siria, comunque, continua a negare la volontà di utilizzare armi di distruzione
di massa contro il suo popolo. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con il
direttore di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi:
R. – Che La
Siria abbia armi chimiche è fuor di dubbio. E’ una cosa assolutamente acclarata. Il
programma nasce a fine anni ’70 inizio anni ’80 quando il padre dell’attuale presidente
Bashar al Assad, ovvero Hafiz al-Asad, individuò negli agenti chimici uno strumento
alla portata del regime, una risposta “low cost” al nucleare israeliano. Non a caso,
alcuni anni fa, la Siria si era "imbarcata" anche in un programma nucleare, culminato
poi nel settembre 2007 con il raid israeliano contro il presunto reattore di al-Kibar.
D.
– Ad oggi viene detto che queste armi vengono spostate sul territorio. Sono ancora
efficaci ed è un programma che è continuato nel tempo?
R. – Non è chiaro l’effettivo
stato del programma chimico siriano. Alcuni componenti di questi ordigni potrebbero,
dopo anni, essere decaduti e non è sicuro che il programma oggi abbia un’efficienza
pari a quella di dieci o quindici anni fa.
D. – La Turchia, però, proprio per
questo dubbio sulle armi chimiche pensa al dispiegamento di missili patriot al confine
proprio con la Siria. Insomma, si sta alzando ancora di più la tensione?
R.
– Assolutamente. La crisi siriana già adesso sta portando delle conseguenze, in termini
di stabilità regionale. Non dimentichiamoci quali sono le ripercussioni sul Libano,
per i profughi, lo stesso accade in Turchia dove si sommano anche le tensioni di confine.
In generale c’è una diffusa instabilità. Comunque la Nato ha già dato il proprio assenso
al dispiegamento dei sistemi antiaerei, antimissilistici. E anche questo è un segnale
che, nonostante non ci sia il coinvolgimento diretto delle Potenze occidentali in
Siria, ci sono alcune "linee rosse" invalicabili che la comunità internazionale segnala
al regime di Damasco. Non ci dimentichiamo un ulteriore elemento, molto importante,
ovvero che, nell’ambito del fronte variegato che combatte il regime di Assad, ci sono
anche realtà fondamentaliste islamiche e islamiste e, qualora le infrastrutture e
le armi chimiche cadessero nelle mani di queste realtà, sarebbe un problema serio.
Non a caso già da tempo sia giordani, sia israeliani, sia turchi e statunitensi, hanno
programmi segreti per riprendere il controllo della situazione.
D. – Cosa tiene
in piedi il regime siriano?
R. – Il regime di Assad vede la propria sopravvivenza
in una dinamica esterna. Finché la Russia darà supporto, ho la sensazione che questo
regime durerà anche perché qui è in gioco la stabilità dell’area. La Siria è un Paese
molto più complesso della Libia. In Libia, nel 2011, la comunità internazionale, la
Nato, l’Onu, sono intervenuti anche perché la Russia lo ha permesso. Ed oggi intervenire
in Siria significa sollecitare anche Iran, Israele, Turchia… significa toccare il
cuore stesso del Medio Oriente. Per cui anche la comunità internazionale ha una certa
ritrosia ad entrare attivamente in un conflitto i cui esiti sono comunque di difficile
calcolo e previsione.