Al via a Ginevra la 12.ma assemblea per l’interdizione delle mine anti-uomo
Si è aperta a Ginevra, in Svizzera, la 12.ma assemblea degli Stati partecipanti al
Trattato di Ottawa sulla interdizione delle mine anti-uomo. Per questa occasione,
la Campagna internazionale per interdire le mine chiede ai governi di sradicare del
tutto questa piaga. Debora Donnini ha intervistato Giuseppe Schiavello,
direttore in Italia della Campagna contro le mine:
R. - Come
Campagna internazionale chiediamo agli Stati di impegnarsi ancora all’universalizzazione
della Convenzione di Ottawa che proibisce l’uso, la produzione e il commercio delle
mine anti–persona.
D. - Sono 160 i Paesi che hanno sottoscritto il Trattato
di Ottawa per interdire le mine anti–uomo. Questo significa che in questi Paesi non
si producono più mine anti–uomo?
R. – Sì. Questi Paesi non solo non producono,
non commercializzano mine anti–persona, ma hanno anche distrutto i loro stock, quindi
tutte le mine che avevano nei loro arsenali, e hanno profuso degli aiuti di cooperazione
proprio per sostenere quei Paesi che erano nel ’97 - più di 90 - affetti da inquinamento
provocato dalle mine anti–persona, che uccidevano donne e bambini, e per questo sono
state considerate delle armi con effetto indiscriminato e messe al bando.
D.
- L’Italia è fra questi Paesi?
R. - L’Italia fino al 1994 era uno dei maggiori
produttori di mine anti–persona, ma con una moratoria nel 1994 si fermò la produzione,
il commercio e l’uso di queste armi. Ha fatto una legge nazionale che è tra le più
restrittive al mondo, dopo di che ha sottoscritto questo Trattato attivando addirittura
un fondo per lo sminamento umanitario. Si è impegnata in maniera veramente molto forte,
infatti a livello internazionale all’Italia è riconosciuto un impegno molto serio.
D.
- Perché ancora non si riesce a mettere fine alla produzione delle mine anti–uomo?
Quali sono i Paesi che ancora le producono e le diffondono?
R. - Purtroppo
alcuni Paesi si sono riservati il diritto - non aderendo a questa convenzione - di
produrle e di utilizzarle. Il commercio lecito di fatto è fermo, perché l’adesione
di 160 Stati, significa che le mine anti–persona non possono circolare sul proprio
territorio, non si possono supportare anche fasi transitorie di un commercio, perché
l’uso è stigmatizzato a livello mondiale. Anche Stati che non aderiscono a questa
convenzione oramai, se utilizzano mine anti–uomo, vengono in qualche modo additati
come violatori dei diritti umani. Di conseguenza il commercio lecito è di fatto fermo.
Alcuni Stati, come la Cina ad esempio, non ha mai dichiarato quante mine possiede
nei propri arsenali, dichiara appunto di non utilizzarle, ma non ha mai aderito a
questa convenzione. D’altra parte, altri Stati come l’Egitto, Singapore, non solo
non hanno aderito, ma non hanno fornito neanche dati specifici su alcune questioni.
Nel 2012 è stato registrato solamente l’utilizzo in Siria. Questo significa che di
fatto spesso queste mine vengono utilizzate anche da forze ribelli, oltre che da forze
governative, in zone che ancora soffrono di un grado di insicurezza molto elevato.
C’è stata una denuncia, proprio nei primi giorni di ottobre, al primo comitato delle
Nazioni Unite, che è quello che riguarda il disarmo e la sicurezza, dove alcuni Stati
hanno condannato pubblicamente l’uso di questo tipo di ordigni da parte dell’esercito
governativo della Siria.