2012-11-30 10:35:04

Giovanni XXIII e la Chiesa madre dei poveri


La Chiesa è di tutti e particolarmente dei poveri. Con questa affermazione, il Beato Papa Giovanni XXIII indicò, 51 anni fa, con quale animo il mondo cattolico si apprestava a vivere la stagione del Concilio Vaticano II. Nel suo breve e denso Pontificato, Papa Roncalli dimostrò di avere a cuore ogni aspetto della povertà, non solo quella figlia del sottosviluppo ma anche quella prodotta dall’affermazione del capitalismo post-bellico. Alessandro De Carolis ricorda alcuni pensieri di Benedetto XVI sul tema in questo servizio dedicato dalla Radio Vaticana al’iniziativa “Why Poverty?”, promossa dall'Unione Europea di Radiodiffusione (Uer):RealAudioMP3

Guardate: su questo stesso sacro colle Vaticano la Chiesa custodisce da secoli tesori immensi di arte di storia, di letteratura: ma i suoi tesori più autentici, e per i quali maternamente trepida, sono i poveri, i malati, i bambini, i deboli, i dimenticati”. (Discorso ai delegati delle “Opere di misericordia” di Roma, 21 febbraio 1960)

Poteva il Papa della carezza ai bambini, di una limpida sera d’ottobre di 50 anni fa, non averne una per chi, al pari di un bambino, ha bisogno costante di una mano tesa che lo aiuti? I poveri, ricchezza della Chiesa: il paradosso del Vangelo è pura logica per Angelo Roncalli. Figlio di un’epoca e di una terra, la campagna bergamasca di fine Ottocento, dove la sobrietà di vita e la frugalità di mezzi sono pietre di un sentiero che rischia di franare ogni tanto nel dirupo dell’indigenza – basta una gelata di troppo, un raccolto in meno – l’uomo che cambierà per sempre la Chiesa contemporanea ha un rapporto familiare con la povertà. Che in lui, prima di una privazione, è una forma della mente e uno stato dell’anima, che da quella terra traggono linfa non meno dei suoi frutti:

“Gli occhi nostri per altro, sino dall'infanzia, furono familiari alla visione più semplice del conventino regolare dei Frati Minori di Baccanello, che nella distesa campagna lombarda, dove eravamo nati e cresciuti, era la prima costruzione tutta religiosa che incontravamo: chiesa, modesto romitorio, campanile, e, intorno intorno, umili fratelli che si spandevano fra i campi e i modesti casolari…”. (Omelia per il 750.mo anniversario dell’approvazione della Regola francescana, 16 aprile 1959)

Questa confidenza, rivelatrice della persona, Giovanni XXIII la condivide proprio con i Francescani ricevuti in udienza sei mesi dopo la sua elezione. Eppure, se l’indole e lo spirito del nuovo Papa sono affini e in qualche modo irradiano una luce di francescana semplicità, lo sguardo sulle cose del mondo è acuto. Da un lato, si annoverano le tensioni della Guerra fredda e il cemento di un Muro che sta per spaccare a metà un emisfero. Dall’altro, il rigoglio del progresso tecnologico e l’evoluzione della libertà sociale. “Si è infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose”, scriverà Giovanni XXIII nella Pacem in terris, e “si approfondisce l’interdipendenza tra le economie nazionali”. Icone della povertà che va alleviata, dunque, non sono più agli occhi del Papa solo i popoli sottosviluppati. Sono anche le masse di lavoratori presi nell’ingranaggio di uno sviluppo con poche regole:

Il nostro pensiero, il nostro affetto va in primo luogo a questi uomini amareggiati dalla disoccupazione e sotto-occupazione. Ad essi pertanto deve andare la comune sollecitudine; e confidiamo che con opportune provvidenze e con sollecita cura si risolvano le difficoltà, trovando loro la dovuta e necessaria fonte di sostentamento, e di serenità familiare”. (Discorso alle Acli, primo maggio 1959)

Nei suoi quattro anni di Pontificato, il Vaticano ospita spesso gruppi di lavoratori di ogni settore produttivo. Per uno “Sputnik” lanciato in orbita o un “Nautilus” che passa sotto i ghiacci del Polo Nord – meraviglie di quegli anni che Papa Roncalli segue con grande interesse – c’è in lui prima e più alto il bisogno della concretezza, l’attenzione alla quotidianità dei nuovi poveri. C’è l’imperativo – come Giovanni XXIII ribadisce nell’Enciclica Mater et Magistra – di difendere il bene comune, il posto di lavoro, l’equità dei redditi. In una parola, la dignità delle persone. Sulle quali il “Papa Buono” invoca di volta in volta il patrocinio di S. Giuseppe:

“Ricorda a tutti i lavoratori che nei campi, nelle officine, nelle miniere, nei laboratori della scienza, non sono soli a operare, gioire e soffrire, ma che accanto ad essi c'è Gesù, con Maria, Madre sua e nostra, a sostenerli, a tergerne il sudore, a impreziosirne le fatiche. Insegna loro a fare del lavoro, come Tu hai fatto, uno strumento altissimo di santificazione”. (Discorso alle Acli, primo maggio 1959)

Intanto, maturano i tempi dell’Evento. Tre anni di preparazione e poi, a un mese esatto dall’apertura, l’11 settembre 1962, Giovanni XXIII si accosta a un microfono della Radio Vaticana per parlare della “grande aspettazione del Concilio Ecumenico”. Il Radiomessaggio di quel giorno passa alla storia non solo per l’amplissima architettura spirituale e i grandi obiettivi propri dell’imminente assise, che il Papa illustra al mondo non senza emozione. Resta anche per un’annotazione breve e affilata, che riafferma con un pugno di parole duemila anni di Vangelo:

“In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa di presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. (Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo a un mese dal Concilio Ecumenico vaticano II, 11 settembre 1962)

La Chiesa è “particolarmente” dei poveri. In questa frase sobria e diretta, ancorché pronunciata con la consueta bonomia, brilla l’essenza di Angelo Roncalli. L’uomo di Dio e dei poveri perché povero egli stesso, come sono poveri gli uomini ricchi di Dio. Colui che nella prima parte del suo testamento dirà di sé:

“Nato povero, ma da onorata ed umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa (...) Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici”. (Venezia, 29 giugno 1954)







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