La Chiesa è di tutti e particolarmente dei poveri. Con questa affermazione, il Beato
Papa Giovanni XXIII indicò, 51 anni fa, con quale animo il mondo cattolico si apprestava
a vivere la stagione del Concilio Vaticano II. Nel suo breve e denso Pontificato,
Papa Roncalli dimostrò di avere a cuore ogni aspetto della povertà, non solo quella
figlia del sottosviluppo ma anche quella prodotta dall’affermazione del capitalismo
post-bellico. Alessandro De Carolis ricorda alcuni pensieri di Benedetto XVI
sul tema in questo servizio dedicato dalla Radio Vaticana al’iniziativa “Why Poverty?”,
promossa dall'Unione Europea di Radiodiffusione (Uer):
“Guardate:
su questo stesso sacro colle Vaticano la Chiesa custodisce da secoli tesori immensi
di arte di storia, di letteratura: ma i suoi tesori più autentici, e per i quali maternamente
trepida, sono i poveri, i malati, i bambini, i deboli, i dimenticati”. (Discorso ai
delegati delle “Opere di misericordia” di Roma, 21 febbraio 1960)
Poteva
il Papa della carezza ai bambini, di una limpida sera d’ottobre di 50 anni fa, non
averne una per chi, al pari di un bambino, ha bisogno costante di una mano tesa che
lo aiuti? I poveri, ricchezza della Chiesa: il paradosso del Vangelo è pura logica
per Angelo Roncalli. Figlio di un’epoca e di una terra, la campagna bergamasca di
fine Ottocento, dove la sobrietà di vita e la frugalità di mezzi sono pietre di un
sentiero che rischia di franare ogni tanto nel dirupo dell’indigenza – basta una gelata
di troppo, un raccolto in meno – l’uomo che cambierà per sempre la Chiesa contemporanea
ha un rapporto familiare con la povertà. Che in lui, prima di una privazione, è una
forma della mente e uno stato dell’anima, che da quella terra traggono linfa non meno
dei suoi frutti:
“Gli occhi nostri per altro, sino dall'infanzia, furono
familiari alla visione più semplice del conventino regolare dei Frati Minori di Baccanello,
che nella distesa campagna lombarda, dove eravamo nati e cresciuti, era la prima costruzione
tutta religiosa che incontravamo: chiesa, modesto romitorio, campanile, e, intorno
intorno, umili fratelli che si spandevano fra i campi e i modesti casolari…”. (Omelia
per il 750.mo anniversario dell’approvazione della Regola francescana, 16 aprile 1959)
Questa
confidenza, rivelatrice della persona, Giovanni XXIII la condivide proprio con i Francescani
ricevuti in udienza sei mesi dopo la sua elezione. Eppure, se l’indole e lo spirito
del nuovo Papa sono affini e in qualche modo irradiano una luce di francescana semplicità,
lo sguardo sulle cose del mondo è acuto. Da un lato, si annoverano le tensioni della
Guerra fredda e il cemento di un Muro che sta per spaccare a metà un emisfero. Dall’altro,
il rigoglio del progresso tecnologico e l’evoluzione della libertà sociale. “Si è
infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose”,
scriverà Giovanni XXIII nella Pacem in terris, e “si approfondisce l’interdipendenza
tra le economie nazionali”. Icone della povertà che va alleviata, dunque, non sono
più agli occhi del Papa solo i popoli sottosviluppati. Sono anche le masse di lavoratori
presi nell’ingranaggio di uno sviluppo con poche regole:
“Il nostro
pensiero, il nostro affetto va in primo luogo a questi uomini amareggiati dalla disoccupazione
e sotto-occupazione. Ad essi pertanto deve andare la comune sollecitudine; e confidiamo
che con opportune provvidenze e con sollecita cura si risolvano le difficoltà, trovando
loro la dovuta e necessaria fonte di sostentamento, e di serenità familiare”. (Discorso
alle Acli, primo maggio 1959)
Nei suoi quattro anni di Pontificato, il
Vaticano ospita spesso gruppi di lavoratori di ogni settore produttivo. Per uno “Sputnik”
lanciato in orbita o un “Nautilus” che passa sotto i ghiacci del Polo Nord – meraviglie
di quegli anni che Papa Roncalli segue con grande interesse – c’è in lui prima e più
alto il bisogno della concretezza, l’attenzione alla quotidianità dei nuovi poveri.
C’è l’imperativo – come Giovanni XXIII ribadisce nell’Enciclica Mater et Magistra
– di difendere il bene comune, il posto di lavoro, l’equità dei redditi. In una parola,
la dignità delle persone. Sulle quali il “Papa Buono” invoca di volta in volta il
patrocinio di S. Giuseppe:
“Ricorda a tutti i lavoratori che nei campi,
nelle officine, nelle miniere, nei laboratori della scienza, non sono soli a operare,
gioire e soffrire, ma che accanto ad essi c'è Gesù, con Maria, Madre sua e nostra,
a sostenerli, a tergerne il sudore, a impreziosirne le fatiche. Insegna loro a fare
del lavoro, come Tu hai fatto, uno strumento altissimo di santificazione”. (Discorso
alle Acli, primo maggio 1959)
Intanto, maturano i tempi dell’Evento. Tre
anni di preparazione e poi, a un mese esatto dall’apertura, l’11 settembre 1962, Giovanni
XXIII si accosta a un microfono della Radio Vaticana per parlare della “grande aspettazione
del Concilio Ecumenico”. Il Radiomessaggio di quel giorno passa alla storia non solo
per l’amplissima architettura spirituale e i grandi obiettivi propri dell’imminente
assise, che il Papa illustra al mondo non senza emozione. Resta anche per un’annotazione
breve e affilata, che riafferma con un pugno di parole duemila anni di Vangelo:
“In
faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa di presenta quale è, e vuol essere, come
la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. (Radiomessaggio ai fedeli
di tutto il mondo a un mese dal Concilio Ecumenico vaticano II, 11 settembre 1962)
La
Chiesa è “particolarmente” dei poveri. In questa frase sobria e diretta, ancorché
pronunciata con la consueta bonomia, brilla l’essenza di Angelo Roncalli. L’uomo di
Dio e dei poveri perché povero egli stesso, come sono poveri gli uomini ricchi di
Dio. Colui che nella prima parte del suo testamento dirà di sé:
“Nato povero,
ma da onorata ed umile gente, sono particolarmentelieto di morire povero,
avendo distribuito secondo le varie esigenze ecircostanze della mia
vita semplice e modesta, a servizio dei poveri edella Santa Chiesa
(...) Ringrazio Iddio di questa grazia dellapovertà di cui feci voto
nella mia giovinezza, povertà di spirito, comePrete del S. Cuore, e
povertà reale; e che mi sorresse a non chiederemai nulla, né posti,
né danari, né favori, mai, né per me, né per imiei parenti o amici”.
(Venezia, 29 giugno 1954)