Oggi all’Onu la richiesta di adesione della Palestina come Stato non membro. Ue divisa
La leadership dell’Anp, capitanata da Abu Mazen è a New York, dove tra poche ore chiederà
ufficialmente all’Assemblea generale dell’Onu di votare "sì" alla richiesta di adesione
della Palestina come Stato non membro. Una mossa fortemente criticata da Israele e
Stati Uniti. Nonostante tutto, aumenta il fronte dei Paesi che daranno il loro appoggio:
sì della Russia. L’Europa si presenta in ordine sparso, con la Germania che dice no,
la Gran Bretagna che si astiene, e con la Francia che aderisce all’iniziativa palestinese,
e che per questo incassa dure critiche da parte degli Stati Uniti. Stanotte il segretario
di Stato americano, Clinton, ha parlato di un grave errore che potrebbe compromettere
il processo di pace. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il collega Ugo
Tramballi, inviato del quotidiano Il Sole 24 Ore:
R. – Rallentare
qualcosa che non esiste è difficile. Non c’è un percorso, non c’è un dialogo, non
c’è un dibattito. C’è appena stata una "piccola" guerra a Gaza, dove Hamas – che è
il partito che propone la lotta permanente – è uscito vincitore, mentre Fatah e l’autorità
palestinese di Abu Mazen sono usciti sconfitti. E’ difficile capire di quale processo
stiano parlando gli americani e gli israeliani.
D. – L'Europa si presenta a
questo appuntamento molto divisa al suo interno: questo è un segnale negativo.
R.
– E’ un segnale estremamente negativo. Il fatto che ogni Paese andrà in ordine sparso
e in maniera molto divisa, è molto grave: questo contribuisce a mantenere l’opinione
che c’è dell’Europa in Medio Oriente, cioè un’Europa che non conta nulla. Del resto
non conta nulla nemmeno per Israele, che non ha mai considerato il Vecchio continente
un interlocutore: per Israele ci sono solamente gli americani.
D. - Si starebbe
lavorando perché Abu Mazen prometta di non adire alla Corte penale internazionale
contro Israele per gli insediamenti in Cisgiordania, considerati dall’Anp un ostacolo
alla pace. Sarebbe, questo, un primo compromesso?
R. – Volendo, sarebbe il
compromesso necessario. Quello che sta chiedendo la Palestina è nulla, perché sta
semplicemente chiedendo di passare da entità osservatrice a Paese "osservatore", ma
“Paese” per modo di dire. Lo sanno tutti e lo sanno meglio di tutti i palestinesi.
L’unico elemento è la capacità che diventando Paese osservatore possa poi partecipare
ai lavori del Tribunale internazionale dell’Aia e quindi chiedere che Israele venga
incriminato. Se questo ostacolo viene superato, non ci sono altre ragioni per non
accettare la richiesta palestinese. Anche se sono convinto che, pur superando questo
ostacolo, l’attuale governo israeliano, di estrema destra, si inventerà qualche altra
cosa per impedire anche questo piccolo passo avanti verso la lontana indipendenza
palestinese. Gli Stati Uniti dovranno stargli dietro.
D. - Su una cosa non
ci sono dubbi: anche per le Nazioni Unite si tratta di un ulteriore banco di prova
per la sua tenuta…
R. – Le Nazioni Unite sono sempre state così. Quando gli
attori coinvolti sono importanti, come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, anche
Israele, le Nazioni Unite non servono assolutamente a nulla: sono assemblearismo,
utile per fare buone discussioni, ma fine a se stesso.
D. – Si può fare una
previsione su come andrà a finire?
R. – L’unica previsione certa è il dato
di fatto geopolitico: Gaza ha dimostrato che Israele è sempre più sola, che l’Egitto
adesso esiste, certo, con tutti i suoi problemi istituzionali ancora non risolti però
ormai l’Egitto c’è. Quindi, attraverso le Nazioni Unite, in maniera pacifica – non
dimentichiamo che Israele ha sempre ignorato la parte pacifica della Palestina, perché
la richiesta delle Nazioni Unite è una richiesta pacifica - non sono Qassam, non sono
razzi, non è terrorismo – Israele non potrà più ignorare la necessità di riprendere
un processo di pace.