2012-11-28 18:33:56

L'incontro con il diverso a partire dal "Che tutti siano uno" di Gesù al centro dell'incontro a Roma sulle migrazioni


“Una pastorale di comunione per una rinnovata evangelizzazione”: su questo tema è proseguito ieri, a Roma, l’incontro dei vescovi e dei delegati nazionali per la pastorale dei migranti in Europa. Ad intervenire, dopo mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, padre Fabio Baggio, direttore del SIMI, Scalabrini International Migration Institute. Adriana Masotti gli ha chiesto che cosa s’intende per pastorale di comunione:RealAudioMP3

R. - Pastorale di comunione, innanzitutto, è un termine che ormai è entrato nel nostro linguaggio quotidiano, soprattutto a livello di teologia pastorale: nelle riflessioni di tante persone, in tanti Paesi, in particolare anche nella nostra Europa cattolica, dove molte Chiese locali si interrogano sui fenomeni che riguardano la comunione. Una comunione che è all’interno della Chiesa e che viene, in molte occasioni, anche sfidata da situazioni concrete di divisioni o da situazioni semplicemente di nuovi arrivati che bussano alla porta. Tra questi, ovviamente, ci sono anche i migranti.

D. – Comunione intesa come fraternità, come unità…

R. - Esattamente. Una fraternità che è molto di più di quella che la rivoluzione francese voleva proporci; una fraternità che ci viene come monito e richiamo “Ut Unum Sint” – “affinché siano uno” - direttamente dal nostro fondatore: Cristo che ci richiama, appunto, a vivere come una sola cosa, una sola persona e mette come modello “come Io ed il Padre siamo uno”. In questa unità fondamentale, che rispetta la diversità, ma che vive una profonda comunione - anzi, si riscopre realizzata nella comunione della diversità - troviamo il modello a cui ispirarci come cristiani e vivere anche le nostre relazioni inter ecclesiali.

D. - In che modo, allora, si declina questa pastorale di comunione nell’ambito del fenomeno migratorio?

R. - Se noi puntiamo ad un discorso di comunione nella diversità, riconoscendo che il nostro modello è un modello trinitario, una comunione nella diversità proprio per definizione - tre persone ed una sola natura, in cui nessuna delle tre persone mai si perde, ma vive riaffermata nell’amore e nella propria diversità – questo ci spinge a vivere l’incontro con l’altro e con il diverso come una realizzazione di questa comunione. Nell’altro, troviamo l’altro con la “A” maiuscola, cioè Dio presente nel fratello e nella sorella diversi, migranti che bussano alla nostra porta.

D. - Ci sono già alcune linee, alcuni orientamenti concreti con cui, appunto, realizzare questa visione…

R. - In questo momento siamo alla ricerca di una riflessione teologica che ci guidi e ci porti poi a dare dei contenuti a quelle azioni che, da sempre, la Chiesa ha intravisto come azioni di comunione: la ricerca dell’altro, la ricerca del diverso, la ricerca di Dio presente nell’altro, l’accoglienza. Un’accoglienza che va oltre i confini, che si realizza non solamente con quelli che direttamente bussano alla porta, ma con le loro famiglie, con le loro comunità che rimangono in patria. Una fraternità che si trasforma poi in solidarietà, ben conoscendo le ragioni per le quali queste persone si muovono: siano essi rifugiati, profughi, migranti per ragioni economiche. Questa solidarietà che si spinge oltre le frontiere e diventa transnazionale, in questo senso, e che diventa un bellissimo gesto di comunione inter ecclesiale, oltre le frontiere; alla ricerca proprio di questa collaborazione, per la crescita del Regno di Dio in tutto il mondo.

D. - Ieri, nel suo intervento all’incontro, il card. Vegliò ha raccomandato un approccio realistico al fenomeno migratorio…

R. - Sono perfettamente d’accordo con il cardinale. Penso che abbia indovinato una delle piste più importanti per la riflessione: riguarda proprio un’apertura che deve essere sempre conscia di quello che si offre e non deve mai promettere più di quello che può offrire. Un’accoglienza sempre generosa, sempre molto più in là di quelli che possono essere i calcoli economicistici di quello che io posso offrire. Però, anche nella generosità c’è una responsabilità fondamentale, che ci fa vivere in un mondo reale che è ancora marcato - e non lo possiamo trasformare in questo momento - dalle frontiere degli Stati-nazione, ma che al tempo stesso, sulla base del messaggio cristiano, deve essere sempre promotore di un’accoglienza responsabile, che sa quello che può regalare, quello che può donare e offrire agli altri e che ricerca sempre il bene altrui. Ad esempio, a livello di parrocchia e di diocesi, io punterei innanzitutto su un discorso di con-cittadinanza, partendo proprio da un periodo di presenza sul territorio, una cittadinanza che è fatta di diritti e di doveri. Per cui, chiunque passa per questo territorio, chiunque risiede per un tempo in questo territorio, diventa cittadino di diritto di questa parrocchia, cioè la comunità si struttura proprio come una comunità accogliente, nei confronti di chi arriva. A quel punto, ovviamente, non basta rimanere chiusi nelle sagrestie, bisogna andare incontro a chi, molte volte, non parla la lingua e invitare a partecipare, offrire gli spazi adeguati, che possano al tempo stesso salvare e far crescere le diversità, nella costruzione di questa comunione di cui parlavamo.







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