Congo. Ribelli ancora a Goma: cresce l'insicurezza
“I ribelli del Movimento del 23 Marzo sono ancora a Goma, ma rispetto ai giorni scorsi
le condizioni di sicurezza sono in netto peggioramento. Abbiamo avuto notizie di saccheggi
compiuti nel corso della notte, di violenze su civili e di persone uccise solo perché
avevano tentato di opporsi”: è questo il racconto che giunge all'agenzia Misna da
una fonte raggiunta nel capoluogo del Nord Kivu – nell’est della Repubblica Democratica
del Congo – e che per motivi di sicurezza vuole restare anonima. Secondo le dichiarazioni
fatte dal capo militare dell’M23, Sultani Makenga, i ribelli dovrebbero ritirarsi
entro domani: il condizionale è però ancora d’obbligo e l’ultimatum dato dai Paesi
dei Grandi Laghi per allontanarsi dalla città è già scaduto alla mezzanotte di lunedì.
Fonti della Misna sentite ieri avevano riferito di alcuni camion carichi di uomini
e di mezzi che avevano preso la strada per Rutshuru; ciononostante Goma resta ancora
sotto pieno controllo dell’M23 e tra la popolazione cresce il timore di un’eventuale
controffensiva delle forze armate congolesi (Fardc) e di nuovi combattimenti, questa
volta in città. In attesa degli sviluppi sul campo, il Consiglio di sicurezza dell’Onu
ieri ha esteso fino al 1° febbraio 2014 le sanzioni già imposte su tutti i gruppi
ribelli congolesi. Il Consiglio ha inoltre chiesto all’M23 e alle altre formazioni
armate “di cessare immediatamente ogni forma di violenza e qualunque altra attività
destabilizzante”; ha inoltre chiesto l’interruzione di qualunque tipo di sostegno
esterno finora garantito all’M23 da alcuni Paesi. Da una settimana, Goma è sotto controllo
dell’M23 riuscito ad entrare dopo aver messo in fuga l’esercito. Dopo aver minacciato
di avanzare fino a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, i ribelli si sono arrestati lungo
la linea di Sake, una ventina di chilometri a sud di Goma e sono stati coinvolti in
negoziati mediati dai Paesi dei Grandi Laghi. Un piano messo a punto a Kampala prevede
il loro ritiro ma invita anche il governo di Kinshasa ad ascoltare “le legittime rivendicazioni”
dell’M23. Una nuova riunione dei paesi dei Grandi Laghi è stata convocata per domani:
in questa occasione i capi di stato maggiore degli eserciti dei Paesi membri “verificheranno
il rispetto degli accordi di smilitarizzazione dentro e attorno a Goma”. Sulla drammatica
situaziome umanitaria nel Nord Kivu, Massimiliano Menichetti ha raggiunto a
Goma, don Piero Gavioli, direttore del Centro giovanile Don Bosco NGangi che
in questi giorni sta ospitando migliaia di profughi:
R. - Alcuni
hanno visto dei camion, con dei soldati dell’M23, andare verso Nord. Molti confermano
che si stanno ritirando, ma non penso che, per il momento, abbandonino completamente
la città. Non sappiamo esattamente quali sono le intenzioni dell’esercito nazionale
che sta ritornando verso Goma. Ci stiamo chiedendo se l’M23 abbia messo dei responsabili
a capo dei vari servizi amministrativi e se questi responsabili rimarranno, o andranno
via e verranno sostituiti da quelli che c’erano prima… Non è che la situazione attualmente
sia del tutto chiara.
D. - C’è il rischio di violenze in questo momento?
R.
- Non credo. Molto dipenderà dal comportamento dell’esercito congolese quando rientrerà
perché ho sentito da varie parti che, purtroppo, dove ha ripreso terreno ci sono state
violenze. Speriamo che qui si comporti in maniera sufficientemente disciplinata.
D.
- Il vostro centro è diventato un punto di riferimento per le persone che sono fuggite,
prima dall’entroterra, poi a Goma: qual è la situazione?
R. - Abbiamo molta
gente ed aspetta notizie più precise sulla sicurezza per rientrare a casa. Ci hanno
chiesto tre cose: il trasporto - che per il momento non è ancora assicurato – per
andare a 30/40 km da qui; un telone perché non sono sicuri di trovare la loro casa
ancora coperta da un tetto, potrebbe esser stato bruciato o potrebbero aver tolto
le lamiere. Hanno chiesto anche un po’ di viveri per i primi giorni. Il Programma
Alimentare Mondiale, quattro giorni fa, ha dato un po’ di aiuti alla gente e ha promesso
di tornare per fornirne ancora, per un’altra settimana, una razione “secca”, come
la chiamano qui.
D. - C’è attesa o paura?
R. - C’è attesa. Non credo
che ci sia molta paura, la situazione è abbastanza tranquilla. Però, c’è attesa di
una soluzione: sperano che la situazione politica globale migliori e che possano tornare
a casa loro.
D. - Avete bisogno di aiuti: come vi si può aiutare e cosa vi
serve…
R. - Qui possiamo comprare il cibo ed anche i medicinali. C’è l’Organizzazione
non governativa Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) che ci sostiene
in maniera particolare. Quindi, noi chiediamo che tutti gli aiuti passino attraverso
un conto che il Vis ha aperto per noi.
D. - Secondo lei, anche a livello internazionale,
politico cosa servirebbe?
R. - Sono sicuro che le ragioni fondamentali della
guerra siano di carattere economico: qui la ricchezza del sottosuolo è la nostra maledizione
- se così possiamo dire - perché tutti cercano di accaparrarsi le ricchezze. Ci dovrebbe
essere un accordo internazionale perché le ricchezze siano sfruttate dal Paese e perché
la gente di questa regione ne possa approfittare almeno un po’. Per il momento, le
ricchezze sono sfruttate ed esportate altrove e ci sono tantissimi piccoli gruppi
armati che ricevono armi in cambio di questo controllo. Ci dovrebbe essere quindi
una soluzione globale per tutta la regione e questo lo si può fare attraverso una
pressione internazionale molto forte e accordi di pace migliori di quelli che sono
stati fatti quattro anni fa.
D. - Che cosa vuole dire ai microfoni della Radio
Vaticana?
R. - Nei momenti di crisi, come al solito, la gente dà fiducia alla
Chiesa. C’è molta gente che prega sia qui nel campo che fuori dal campo. Noi crediamo
che un po’ con la pressione internazionale ma anche con l’aiuto della fede, l’aiuto
del Signore si possa arrivare ad una soluzione migliore di quella attuale.