2012-11-27 12:22:51

“Medici Senza Frontiere” si racconta in una raccolta di lettere e testimonianze


“Noi non restiamo a guardare”: è il titolo di un volume che racconta la vita e l’impegno di “Medici Senza Frontiere” nel mondo. Il libro, edito da Feltrinelli, verrà presentato ieri sera a Milano ed è articolato in una quarantina di lettere scritte dagli operatori umanitari a parenti e amici. Parte del ricavato della vendita andrà a sostegno dei progetti dell’organizzazione medico-umanitaria. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Enrica Picco, operatrice di “Medici Senza Frontiere” e tra gli autori del volume:RealAudioMP3

R. – Il progetto è quello di dare voce a tutti gli operatori umanitari di “Medici Senza Frontiere” che ogni giorno, a migliaia, lavorano sul terreno, in posti spesso lontani, remoti, da cui è difficile far uscire testimonianze. Il mezzo che si è scelto è la lettera scritta - dall’Africa, dall’Asia, dal Sud America, dai vari progetti di “Medici Senza Frontiere” - ad amici o parenti che sono rimasti a casa, per cercare di condividere con loro momenti positivi o momenti negativi, momenti difficili, che viviamo un po’ tutti i giorni nei vari luoghi e che certe volte è difficile, appunto, condividere. Con queste lettere abbiamo cercato di andare oltre a questo distacco.

D. - Nel libro c’è anche una sua lettera. Che cosa racconta in particolare?

R. - Io racconto la mia esperienza in Repubblica Centrafricana dove ho lavorato quasi due anni. E’ un Paese di cui si parla davvero raramente. La situazione sanitaria lì è veramente disastrosa. Io racconto di un bambino che si ammala di malaria, che è la prima causa di morte nel Paese e che è una malattia assolutamente curabile se diagnosticata e trattata in tempo. Ma il problema è che il sistema sanitario del Paese praticamente non esiste. In più, l’accesso ai pochi centri sanitari esistenti è reso ancora più difficile dal conflitto latente in quasi tutto il Paese perché lo Stato non ha praticamente il controllo del territorio. Le difficoltà sono enormi. Una mamma deve lasciare i suoi bambini a casa, deve accompagnare il suo unico figlio malato e camminare per 20 o 30 km, per arrivare in un centro dove non ci sono medicine o dove non c’è personale sanitario e quando arrivano, per la maggior parte dei casi, è troppo tardi.

D. – Cosa spera che questo libro darà a chi lo leggerà?

R. – Speriamo di avvicinare le persone a parti del mondo, a contesti, che sono lontanissimi dalla nostra realtà quotidiana. Speriamo di trasmettere l’emozione che proviamo ogni giorno e quindi di rendere questi contesti così lontani così diversi anche un po’ più vicini e comprensibili.

Ultimo aggiornamento: 28 novembre







All the contents on this site are copyrighted ©.