Nunzio a Damasco: non dimenticate i siriani e pregate per loro
"Le violenze in Siria rischiano di diventare un conflitto dimenticato. All'inizio
i morti facevano notizia. Ora le vittime aumentano di giorno in giorno, si parla anche
di centinaia di uccisi, ma nessuno dice nulla, è ormai una routine. Come tutte le
guerre anche per quella siriana ci sarà l'oblio". Con questa drammatica confessione
mons. Mario Zenari, nunzio vaticano in Siria, descrive all'agenzia AsiaNews il dramma
della popolazione di Damasco, l'ultima città in ordine di tempo ad essere entrata
ufficialmente in guerra. "A causa dell'embargo - spiega - è difficile far giungere
aiuti umanitari, ma nell'imminente periodo di Avvento invito tutti a pregare per la
Siria, a dedicare un momento della giornata alle sofferenze di questa gente. Non lasciamo
che il dolore patito dai siriani venga dimenticato". Il prelato racconta che dagli
inizi di novembre "la situazione umanitaria è un inferno, che ha coinvolto anche la
capitale, trasformatasi in una città blindata". Il dramma è acuto soprattutto nei
quartieri periferici: Darayya, Qudssaya, Irbin. Qui si combatte giorno e notte, le
bombe hanno polverizzato anche le poche case rimaste in piedi. "Diversi miei impiegati
- afferma mons. Zenari - vivono ormai nella sede della nunziatura, perché non possono
rientrare nelle loro case, altri non hanno più un tetto e passano la notte negli scantinati,
o in rifugi di fortuna. Le parrocchie si sono trasformate in dormitori. I conventi
tentano di offrire a tutti ospitalità, anche in giardino". "Ma ora - continua il nunzio
- con l'arrivo dell'inverno gli sfollati rischiano di morire di stenti e di freddo.
Ogni giorno ricevo telefonate da parte di religiosi e sacerdoti che mi chiedono: cosa
possiamo fare per questa gente? La Chiesa ha messo ogni suo spazio a disposizione,
dalle stanze degli uffici, ai magazzini agli stessi luoghi di culto. Tuttavia senza
aiuti esterni e l'ipotesi di un cessate il fuoco anche tali sforzi rischiano di essere
una piccola goccia nel mare". Mons. Zenari confessa che la domanda più ricorrente
fra i siriani è: "Quanto durerà questa guerra?". Dagli ultimi tentativi in giugno
di Kofi Annan per un cessate il fuoco, il conflitto non è un più un'emergenza temporanea;
esso si è trasformato in una realtà quotidiana che appare senza fine. "Questa precarietà
- sottolinea il nunzio - uccide la speranza di tornare alla normalità, che si somma
al dolore per i propri cari uccisi". Tornato di recente da un viaggio in Italia, il
prelato ha assistito in poco tempo al peggioramento della guerra: "Ora la popolazione
versa in condizioni ancora più drammatiche di qualche mese fa. Al dolore per i bombardamenti,
le vendette fra gruppi politici e religiosi, si è aggiunta anche la criminalità locale,
che non sta con nessuno. Nel Paese, vi sono centinaia di rapimenti che falcidiano
le famiglie, non solo quelle ricche, ma ormai anche quelle più povere. Questi delinquenti
per loro stessa ammissione non sostengono nessuna fazione politica o militare. Essi
sfruttano il clima di instabilità per fare i propri interessi. I media purtroppo non
ne parlano, ma molte famiglie, anche qui a Damasco sono toccate da questa piaga, che
ha reso ancora più dolorosa la loro vita". Mons. Zenari spiega che vi sono due tipi
di sequestro. Il primo è politico e serve ai gruppi dei due schieramenti per chiedere
la liberazione di prigionieri. Il secondo è invece a sfondo di riscatto. Quest'ultimo
è molto diffuso e costringe la popolazione a fare anche delle collette pubbliche per
liberare i propri cari, che spesso rischiano comunque di essere uccisi nell'indifferenza
generale. Il nunzio racconta che la Chiesa è attiva anche in questo campo e in tutte
le parrocchie dove avvengono questi casi sono stati creati dei comitati per mediare
con i rapitori. "Essa - afferma - è l'unica vera istituzione rimasta integra nel Paese,
dove qualsiasi organo statale e privato si sta sfaldando. Tutti si rivolgono a lei:
cristiani, musulmani, alauiti e sunniti. Ecclesiastici, sacerdoti, religiosi e religiose
tentano spesso a rischio della vita di portare riconciliazione e perdono anche dove
sembra impossibile". Secondo il prelato, bisogna evitare che questa guerra cada nell'oblio.
L'Occidente ha il dovere di informarsi, di cercare di comprendere questa situazione,
anche se i media e i governi sono inclini a facili risposte. (R.P.)