2012-11-26 14:03:10

Tragedia Rossano. Mons. Marcianò: si poteva evitare, nostri treni come quelli a vapore


I sindacati chiedono maggiore attenzione per la rete ferroviaria calabrese, dopo la tragedia che ha visto morire, sabato scorso, sei braccianti romeni. Per la Cisl calabrese, quanto avvenuto è anche “il simbolo amaro di uno stato di abbandono di una rete ferroviaria da terzo mondo su cui passano sempre meno treni”. E anche la Chiesa locale interviene. Il servizio di Alessandro Guarasci:

Chi percorrere la linea jonica ha l’impressione di esser tornato 40 anni indietro. Si tratta di 470 chilometri, da Taranto a Reggio Calabria, principalmente a binario unico e con ampi tratti senza elettricità, percorsi da treni di bassa qualità. Sempre più sporadici poi i collegamenti con le grandi città del centro-nord Italia. Basti dire che tra Roma e Crotone, capoluogo di provincia, non c’è un collegamento diretto e il viaggiatore può essere costretto a cambiare treno anche due-tre volte. D’accordo il vescovo di Rossano-Cariati mons. Santo Marcianò:RealAudioMP3

R. – Noi stiamo ancora con i treni a vapore… Non sono a vapore, sono a nafta: ma siamo lì. Tempi lunghissimi per percorrere brevi tratti… e ritengo che questa non sia una cosa onesta. L’Italia è un Paese che va considerato nella sua unità e l’unità non è e non deve essere solo politica, ma dev’essere anche geografica, nel senso che gli interventi non si possono pensare e programmare solo per una parte dell’Italia.

D. – Quella tragedia in qualche modo è anche figlia dell’insicurezza dei trasporti ferroviari in quell’area?

R. – E’ una tragedia che avrebbe potuto benissimo essere evitata. C’è un’insicurezza reale che riguarda non solo i passaggi a livello, o comunque le vie di accesso spesso non custodite, ma in generale riguarda tutti. Quindi, ripeto, è un problema da prendere in considerazione. Io mi auguro che questa tragedia risvegli le coscienze. Stiamo pensando di celebrare le esequie ovviamente secondo il rito greco-bizantino e lì mi riprometto di lanciare un grido che vuole essere soprattutto un appello, come dicevo, alle coscienze di tutti.

D. – Ricordiamoci che le persone che sono morte sono stranieri. Ci ricordiamo di queste persone solo per i fatti negativi di cronaca, oppure quando rimangono vittime di tragedie…

R. – Ritengo che queste persone – e il Papa lo ha sottolineato con forza il 15 gennaio scorso, in Piazza San Pietro, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato – siano persone che hanno una loro dignità. Spesso – sempre come afferma il Papa – queste persone sono considerate numeri, forza-lavoro. Non è possibile che ci si ricordi di tutto questo e si sottolinei il valore della dignità di queste persone solo quando accadono questi incidenti. Ritengo che prendere coscienza, entrare in relazione con queste realtà, che sono realtà spesso disumane – mi riferisco alle condizioni in cui spesso vivono questi nostri fratelli – credo che veramente metta in crisi coloro che debbono dare delle risposte a tali emergenze e a queste domande. E non sono solo i cittadini: è anche la comunità ecclesiale, la comunità civile. Questa è gente che viene spinta fuori dalla propria terra per cercare un’oasi di tranquillità, di pace dove poter vivere da persone civili…








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