Spina bifida: lo sport come strumento quotidiano per l’autonomia
Presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nella sede di Santa Marinella – Centro
di riabilitazione per "post acuti" – si è tenuto il convegno “Spina bifida: lo sport
come strumento di autonomia; il modello ski-tour 365 giorni l’anno”. Presenti numerosi
medici, infermieri, bambini e ragazzi con lesione midollare, famiglie, terapisti e
allenatori per stimolare la pratica sportiva nelle persone con disabilità e per testimoniare
quanto lo sport contribuisca alla conquista dell’autonomia e al miglioramento della
vita quotidiana. Lucia Fiore ne ha parlato con il dottor Mario De Gennario,
urologo e direttore del Reparto di Urologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù:
R. - Lo sport
rende sicuramente necessario il distacco del bambino dalla famiglia. Il bambino viene
affidato al suo “trainer” sportivo, al suo allenatore, deve muoversi da casa, deve
sapere come nutrirsi e deve sapere quali cose sia meglio evitare e quali cose sia
consigliato fare al di fuori della protezione dei genitori. Questo significa una necessità
di ricerca e di autonomia: significa incontrare difficoltà pratiche, sicuramente,
ma anche superarle.
D. – In cosa consiste il "modello ski-tour" e a chi è rivolto?
R.
– Il Centro che si è occupato e che si sta occupando di questi campi invernali per
lo sci è seguito direttamente in collaborazione con la Polizia di Stato, quindi è
una struttura in qualche modo protetta, che mette in condizioni di sfruttare al meglio
le possibilità residue. Io ho visto filmati fantastici e abbiamo partecipato con le
nostre famiglie a gare, o comunque a discese, di ragazzi non soltanto paraplegici
ma addirittura tetraplegici, il che vuol dire che non muovono con autonomia gli arti
superiori. Lo sci, però, sfruttando la forza di gravità, quindi l’aiuto della natura,
mette sostanzialmente queste persone nelle stesse condizioni di chi invece ha un completo
movimento fisico.
D. – Quanto è importante la pratica sportiva nelle persone
con disabilità e non solo?
R. – Chi già faceva sport, superato il lutto e la
depressione di non essere nelle stesse condizioni di prima per farlo, ha tutte le
motivazioni per impegnarsi di nuovo al massimo. Quindi, fare sport per chiunque è
già un punto di partenza fortissimo. Sono venuti a trovarmi atleti che hanno partecipato
alle Paralimpiadi, che erano a livelli altissimi prima dell’incidente e che poi magari
hanno cambiato sport, oppure fanno lo stesso sport in modo differente, e che sono
non solo motivati, ma una guida fraterna per quelle persone che invece non avevano
fatto sport a quei livelli e che lo affrontavano con maggiore timidezza. Hanno partecipato
la Federazione italiana del tennistavolo, la Federazione italiana della pallacanestro,
del tiro con l’arco, della vela e ci sono anche alcune Federazioni – e in questo forse,
muovendo questa leva, si può aiutare molto – che cercano di inserire persone con minore
abilità nei team dei cosiddetti normodotati.