Tunisia: crescono i timori per una deriva islamica della Rivoluzione dei Gelsomini
A quasi due anni dall’inizio della Primavera Araba e a uno dalle elezioni, in Tunisia,
il sogno di una società finalmente libera e democratica sembra infrangersi contro
una realtà fatta di imposizioni confessionali, crisi economica e regressioni annunciate
nel campo dei diritti. A pagarne per prime l’alto prezzo sono le donne. Luca Attanasio,
a Tunisi, ha parlato con due di loro: Nadia Hakimi, direttrice dell’Association Tunisienne
des Femmes Democrates, e Lina Ben Mhenni, una delle blogger più attive nel periodo
della Rivoluzione dei Gelsomini, e con Silvia Costa, in visita nella capitale nord-africana
come membro della delegazione ufficiale della Commissione Femme del Parlamento Europeo:
D. – Nadia
Hakmi, avete da poco conquistato la libertà, e i diritti sembrano sparire all’orizzonte
…
R. – Notre rôle, je pense, c’est de poursuivre notre résistance parce-que
… Penso che il nostro ruolo oggi sia continuare la resistenza. Abbiamo ormai acquisito
dei meccanismi di opposizione al potere, ma ci troviamo a fronteggiare situazioni
molto difficili. Oggi le cose sono molto cambiate e siamo di fronte ad una nuova lotta
per mantenere i diritti per le donne. Registriamo una vera e propria regressione.
D.
– Qual è il problema più urgente, al momento?
R. – C’est la Constitution, parce-que
on parle du Préambule … Il problema più grande è la Costituzione. Al momento, si
parla molto di Preambolo, ma non si dice nulla dei contenuti. Vogliono rimettere in
discussione l’articolo 1 sul quale c’era un consenso generale: recita che la Tunisia
è uno Stato laico a maggioranza islamica, mentre ora si spinge per scrivere che è
uno Stato islamico.
D. – Lina Ben Mhenni, temete che la rivoluzione
vi venga portata via?
R. – Usually, to do a revolution … In genere, per
fare una rivoluzione ci vogliono gruppi organizzati, partiti politici; ma nel caso
nostro, si è trattato di una rivoluzione spontanea, fatta da giovani, disoccupati
… Non avevamo un piano, pensavamo solo a liberarci di Ben Ali, senza pianificare il
futuro. E così, altri ne hanno approfittato e ce l’hanno letteralmente confiscata.
D.
– Onorevole Silvia Costa, una prima impressione sulla situazione generale del
Paese …
R. – La Tunisia è in una fase di transizione democratica complessa;
promettente, per il fatto che si sta lavorando alacremente nell’Assemblea costituente
– che vede la presenza del 27 per cento di donne – per dare finalmente alla Tunisia
una nuova Costituzione, più aperta, più democratica rispetto a quella vigente nel
regime passato. Dall’altro lato, le donne chiedono che non si torni indietro rispetto
ad alcuni diritti.
D. – Avete incontrato donne di ogni partito, rappresentanti
della società civile. Cosa chiedono all’Europa?
R. – Ci hanno chiesto di tenere
lo sguardo fermo su di loro, di aiutarle e anche nelle forme di sostegno e di partenariato,
che si condizionino gli aiuti al rispetto della democrazia e dei diritti delle donne.
Sull’impegno
dei tunisini per i diritti umani Luca Attanasio ha incontrato la presidente di Amnesty
International Tunisia, Sondéss Garbouy, e le ha chiesto in che modo la sua
organizzazione ha partecipato alla Rivoluzione dei Gelsomini:
R. – Les jeunes
d’Amnesty International… I giovani di Amnesty sparsi nelle regioni sono stati molto
attivi; noi lavoriamo su base regionale e abbiamo 40 gruppi sparsi nel Paese. Il gruppo
più attivo è proprio quello di Sidi Bouzid, dove si è dato fuoco Mohammed Bouazizi
e da dove è cominciato tutto. I nostri coordinatori, i nostri militanti, sono scesi
in piazza e hanno preso parte attivamente alla rivoluzione. Ma c’è un grosso lavoro,
maggiore, da fare adesso, dopo la rivoluzione. Credo che ci aspetta un impegno enorme
per un’azione di pressione verso l’Assemblea costituente perché siano scritti e garantiti
i diritti umani fondamentali.
D. - Quali sono le principali battaglie di Amnesty
a quasi due anni dallo scoppio della rivoluzione?
R. – C’est la grande bataille… La
grande battaglia oggi è quella per l’abolizione della pena di morte. La Tunisia è
un paese abolizionista de facto, che non esegue, cioè, da più di 20 anni l’esecuzione
capitale. C’è un gruppo di pressione molto, molto, forte che spinge perché diventi
nuovamente efficace. Noi, invece, premiamo perché nella nuova Costituzione ci sia
l’abolizione totale della pena di morte. Ma ciò che davvero mi fa male al cuore è
vedere che quei giovani che ora premono per il ritorno a questa misura, sono gli stessi
per cui Amnesty International ha condotto campagne molto coraggiose quando erano nel
braccio della morte, perché venissero garantiti loro i minimali diritti e, soprattutto,
non venissero giustiziati.