L'Italia celebra la Giornata Onu contro la violenza sulle donne
Si ratifichi presto la convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e intrafamiliare.
E’ l’appello soprattutto delle donne italiane di diversi schieramenti politici, in
occasione del 25 novembre, giornata Onu contro la violenza sulle donne. In Italia
è un problema molto grave. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i casi di femminicidio,
per non parlare di stupri e aggressioni fisiche. Nella maggior parte dei casi ad opera
di uomini vicini alle vittime. Francesca Sabatinelli ha intervistato l’avvocato
Susanna Pisano, coordinatrice della Commissione Pari Opportunità del Consiglio
Nazionale Forense, che ha lavorato ad un progetto di formazione di giovani avvocati
finalizzata alla difesa delle donne:
R. - Le donne
sono sempre state fatte oggetto di violenza - e questo lo dobbiamo dire - da parte
purtroppo del genere maschile e in particolare proprio di quegli uomini più vicini
a loro, di cui si dovrebbero fidare. Sicuramente, da qualche tempo a questa parte,
c’è un’attenzione diversa rispetto a questi problemi, che certamente vengono alla
luce con più facilità. Questo, però, per un semplice motivo: è vero che, da una parte,
le donne denunciano di più, ma dall’altra - purtroppo - si è passati dalle più variegate
forme di violenza - da quella psicologica a quella fisica - all’omicidio e in maniera
ripetuta, se teniamo conto che l’anno scorso avevamo la morte di una donna, legata
a violenza da parte di un uomo cui era legata, ogni tre giorni; quest’anno siamo saliti
ad una ogni due giorni.
D. - Avvocato Pisano, lo accennava ma io vorrei ripeterlo:
la percentuale più alta degli autori della violenza sulle donne sono uomini a loro
vicini…
R. - Sì, assolutamente sì! La percentuale è molto alta, purtroppo è
aumentata e oscilla intorno all’80 per cento, di quanto ovviamente viene alla luce,
e nella maggior parte sono ad opera di ex partner, di ex fidanzati abbandonati o dell’attuale
marito. Soltanto una parte molto residuale è derivante da violenza portata da estranei.
Lì ci fermiamo essenzialmente alla violenza sessuale: la violenza che sfocia nell’uccisione
della donna è una violenza che proviene da un rapporto preesistente, normalmente un
rapporto sentimentale o un rapporto affettivo, quando non sono i padri piuttosto che
i fratelli.
D. - Ci sono nuove forme di violenza?
R. - Sicuramente
sì, a parte ovviamente lo stalking che è un reato recentissimo, che peraltro è sempre
esistito. Dobbiamo tener conto soprattutto di tutti i nuovi reati che la grande emigrazione
sta portando anche nel nostro Paese: il reato, ad esempio, di tratta o il reato relativo
alle mutilazioni genitali. Reati, questi, di cui si parla molto poco, ma che si stanno
ormai moltiplicando.
D. - Per quanto riguarda la situazione in Italia, si può
parlare di situazione di emergenza?
R. - Sicuramente è una situazione grave:
io non so se sia emergenza o se sia una situazione sistemica, che dovrebbe essere
affrontata con un approccio sistemico. Sicuramente è una situazione che non può rimanere
inascoltata e che non può non trovare soluzioni. La maggior parte di questi femminicidi
è anticipata da una serie di comportamenti, che lasciano presagire un possibile sviluppo
in termini, appunto, di femminicidio e spesso vengono sottovalutati. Le donne che
li denunciano vengono spesso tacciate di essere se non visionare, comunque soggetti
che amplificano i fatti. Quando poi si arriva all’uccisione, un percorso è stato fatto
e spesso avrebbe potuto avere degli interventi che avrebbero potuto evitare il peggio.
Quello che probabilmente manca è proprio un approccio di sistema: il problema è quello
di una formazione che sia sì culturale, ma anche tecnico-giuridica per i soggetti
che hanno a che fare con questi casi, che sono di una difficoltà estrema, perché
riuscire a farsi raccontare dalle donne cosa succede nelle mura di casa è estremamente
difficile. E’ quindi necessario che si impegnino risorse nella formazione. Noi, come
Consiglio nazionale forense, abbiamo realizzato un primo corso e abbiamo formato 80
giovani avvocati, con meno di cinque anni di professione e di iscrizione all’albo:
li abbiamo formati in tutte queste materie, che vanno dalla psicologia alla tecnica
giuridica, per cercare di incominciare - almeno nelle nuove generazioni - a sviluppare
più competenze. Abbiamo iniziato un percorso, che vogliamo riuscire a portare nel
resto dell’Italia, per dare proprio una risposta di sistema.